Tanto rumore per nulla. Decrive così la battaglia sulla net neutrality negli Stati Uniti l’avvocato Ken Engelhart, senior adviser di StrategyCorp e professore di scienze delle comunicazione alla Osgoode Hall Law School, in un commento sul New York Times.
La Federal Communications Commission americana è pronta, con un voto programmato per la prossima settimana, a stralciare le norme sulla neutralità della rete varate sotto la presidenza di Barack Obama. Mentre le aziende telefoniche e i fornitori del servizio di banda larga festeggiano la ritrovata deregulation, le associazioni dei consumatori accusano l’amministrazione Trump di voler dare pieni poteri alle telco e ai colossi del cavo a scapito di start-up e innovatori che verrebbero cacciati fuori dal mercato. I fornitori di servizio di accesso a Internet potrebbero chiedere a specifici siti o app di pagare una tariffa per viaggiare veloci sulle loro reti e rallentare o bloccare quelli che si rifiutano. Si creerebbe il tanto temuto Internet a due velocità, con siti favoriti e altri discriminati.
Secondo Engelhart, però, non avverrà alcuna catastrofe. Sono passati molti anni da quando i service provider americani minacciavano di mettere un prezzo al transito sulle loro reti, come fece SBC Communications nel 2005. Pochi i casi in cui gli Isp hanno bloccato servizi concorrenti: accadde nel 2004, quando la Madison River Telephone Company del North Carolina ostacolò la concorrente Vonage ottenendone solo una multa dalla Fcc per violazione della net neutrality. Nel 2007 la Fcc intervenne contro Comcast che aveva rallentato alcuni servizi peer-to-peer; più di recente, nel 2012, il regolatore ha costretto At&t a rimuovere le limitazioni imposte ai suoi clienti sull’utilizzo della app FaceTime. Secondo l’avvocato Engelhart le regole che già esistono negli Usa sulla libera concorrenza impediscono le distorsioni sul mercato dell’accesso a Internet anche senza norme sulla neutralità della rete. L’esperto si allinea perfettamente alla posizione espressa dalla Commission e dal suo presidente Ajit Pai: c’è già la Federal Trade Commission a difendere i consumatori da eventuali abusi, non serve altro.
Engelhart ammette che i service provider possono rallentare o dare priorità a parte del traffico all’interno delle loro strategie di network management ma aggiunge: “Non me ne preoccupo neanche un po’, perché ho lavorato in una telco per anni e so bene che non è nell’interesse di un service provider rallentare o impedire l’accesso dei consumatori ai servizi e ai contenuti che a loro interessano. L’accesso neutrale alla banda larga è una macchina da soldi, perché vorrebbero boicottarla?”.
Inoltre, argomenta Engelhart, sarebbe molto difficile per i service provider farsi pagare da colossi come Google e Netflix, perché gli Isp hanno bisogno delle Internet companies e dei loro miliardi di utenti più di quanto Google & co abbiano bisogno dei fornitori di banda larga. Infine c’è la competizione: “Internet non è nato come un’invenzione neutrale: la neutralità è stato l’esito naturale di un mercato in cui c’è concorrenza”.
Sapremo presto chi ha ragione: gli Stati Uniti si libereranno delle regole sulla net neutrality, Canada e Unione europea manterranno le loro “severe norme”. Appuntamento al 2019 per vedere se gli statunitensi si ritroveranno con un Internet a due velocità e meno innovativo o, come ritiene l’esperto del NYTimes, avremo perso un sacco di tempo a questionare sulla net neutrality perché nulla sarà cambiato.