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Web tax, l’Europa mette in moto: semaforo verde Ecofin

I ministri delle Finanze Ue hanno concordato l’avvio delle discussioni: necessario accordo a livello Ocse che superi il concetto di stabile oraganizzazione fisica. Intanto la web tax passa al vaglio della Camera: fuori i servizi di e-commerce. Padoan: “Norma compatibile con gli accordi internazionali”

Pubblicato il 05 Dic 2017

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L’Ecofin ha concordato sull’avvio delle discussioni a livello internazionale sulla tassazione dei profitti nell’economia digitale. Lo indicano le conclusioni approvate oggi che serviranno anche alla Commissione per proporre una soluzione legislative all’inizio del 2018. L’Ecofin indica che è necessario raggiungere un accordo a livello dell’Ocse e con gli altri partner internazionali sulla base del principio del luogo di stabilimento permanente virtuale dell’impresa, principio che va approfondito così come gli emendamenti alle regole sui prezzi di trasferimento (all’interno di uno stesso gruppo) e sull’attribuzione dei profitti. In base a questo nuovo approccio, anche senza presenza fisica, un’azienda con una “presenza digitale significativa” dovrebbe prendere una “residenza virtuale” che la costringerebbe a sottostare alla normale tassazione di impresa.

Nelle scorse settimane la commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha assicurato che Bruxelles prenderà delle misure per tassare i giganti del web, se non si arriverà a un accordo entro la primavera del prossimo anno sulle proposte da portare avanti in seno all’Ocse. “La Commissione Ue – ha ricordato Margrethe Vestager da Parigi – il mese scorso ha lanciato una consultazione sul modo di tassare i giganti del web”.

L’azione Ue è stata avviata sulla spinta di Italia, Francia, Germania e Spagna. La consultazione, aperta fino al 3 gennaio, servirà alla Commissione europea per definire una proposta che sarà presentata all’inizio del 2018.

I risultati di queta consultazione, ha aggiunto Margrethe Vestager, “consentiranno di lavorare con i nostri partner in seno all’Ocse per trovare delle soluzioni da applicare a livello globale”. Tuttavia “se non ci sarà una risposta internazionale a questo problema entro la prossima primavera elaboreremo le nostre proposte per varare delle nuove leggi europee che consentano di tassare in modo equo le società che operano su Internet”.

Intanto l’Italia prova ad andare avanti da sola. La manovra 2018 arriva questa settimana alla Camera: i riflettori sono puntati sulla oramai quasi certa riscrittura della web tax così come è stata votata al Senato. Oggi i tecnici di Camera e Senato nelle schede di lettura della legge di bilancio hanno rilevato che dalla web tax, così come formulata al Senato “sembrano escluse le attività di e-commerce”. I servizi effettuati tramite mezzi elettronici di cui parla la norma, evidenziano, sono “quelli forniti attraverso Internet o una rete elettronica e la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata, corredata da un intervento umano minimo e impossibile da garantire in assenza della tecnologia dell’informazione”. L’e-commerce sembra quindi esclu

La proposta di Massimo Mucchetti, promossa dalla Commissione Bilancio del Senato, ha lasciato l’amaro in bocca a molti deputati del Pd, capitanati da Giampaolo Galli e Sergio Boccadutri, entrambi componenti della Commissione Bilancio della Camera presieduta da Francesco Boccia, anche lui non del tutto convinto del testo condiviso a Palazzo Madama.

Le falle starebbero, come spiega Boccadutri, nell’attuazione della norma: gli over the top finirebbero infatti per scaricare a valle, cioè sulle Pmi italiane, il peso della nuova tassa. Allo stesso tempo affidare alle banche il compito di sostituti d’imposta avrebbe non solo complicazioni pratiche, per la difficoltà di operare con imprese apolidi, ma anche costi non indifferenti che andrebbero in qualche modo compensati.

“Quando banche e società emittenti di carte di credito registrano una transazione non sanno cosa stia comprando l’acquirente, ma solo da chi – spiega a CorCom il deputato dem – Per effettuare la trattenuta serve un sistema tutto da costruire: un’operazione onerosa che verrà scaricata sui consumatori”.

Il problema dell’emendamento Mucchetti riguarda anche il pagamento dei servizi digitali. “Può essere un boomerang per tutto il made Italy e in particolare per le Pmi –  evidenzia – Di quella norma  è condivisibile il concetto di stabile organizzazione: per tassare un’azienda serve che risieda legalmete in Italia.  Il resto, a mio avviso, andrebbe cancellato mentre andrebbero rafforzato gli strumenti di moral suasion a disposizione di governo e Agenzia delle Entrate. Google & co sanno oramai che quello della tassazione è un problema a cui non si possono sottrarre, dunque ci sono le condizioni perché si arrivi a una collaborazione”.

A preoccupare Boccadutri è soprattutto l’impatto sul made in Italy: “Per i nostri artigiani le vetrine online di marketplace come esempio Amazon o eBay sono fondamentali perché permettono di raggiungere clienti lontani e di comunicare nella loro lingua – dice – Se questo emendamento diventasse legge ridurrebbe i margini delle Pmi italiane”. Il ragionamento è semplice: Amazon&Co perderebbero il 6% dei loro ricavi e cercherebbero di recuperarne almeno una parte dal cliente aumentando il prezzo. In questo modo le piccole imprese si troverebbero in forte difficoltà con una marginalità ridotta.

Secondo Boccadutri, inoltre, “interventi degli Stati nazionali, mentre la Ue sta lavorando a un’azione comuniaria, rischiano solo di rallentare il processo. La web tax è un tema che affrontanto oltre i confini nazionali”.

Infine l’idea di far partire la tassazione dal primo gennaio 2019 non farebbe che sottrarre risorse altrimenti utili per finanziare altri interventi. Anticipare gli oltre 100 milioni di gettito previsti (o almeno parte di essi) al 2018 darebbe infatti spazio alla Camera per destinare più fondi al bonus bebè, uscito dal Senato in versione ‘mini’, o alla riduzione del superticket, anche in questo caso toccato finora solo marginalmente, con uno stanziamento di 60 milioni sui 600 necessari ad abolirlo.

A promuovere invece l’emendamento Mucchetti, il ministro delle Finanze, Pier Carlo Padoan in occasione dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, ha chiarito che “la proposta di legge di origine parlamentare in Italia che è stata incorporata e, dal punto di vista della compatibilità con gli accordi internazionali, noi riteniamo che sia compatibile”.

L’emendamento di Massimo Mucchetti che introduce l’imposta del 6% sui ricavi digitali è stato approvato dopo alcune modifiche riguardanti la platea di dei soggetti: sono escluse le imprese agricole, i soggetti che hanno aderito al regime forfettario e i cosiddetti “minimi”. Sarà lo spesometro a monitorare i big della rete che dovranno versare in Italia l’imposta del 6% sulle transazioni digitali. Sulla base delle segnalazioni inviate all’Agenzia delle Entrate dagli acquirenti, il Fisco potrà controllare costantemente l’attività online di residenti e non residenti.

Le banche fungeranno da sostituti di imposta: dovranno applicare una ritenuta d’imposta con obbligo di rivalsa sul soggetto che percepisce i corrispettivi.

Per non penalizzare le imprese italiane e quelle residenti nel territorio dello Stato entra in gioco il credito d’imposta pari all’imposta digitale versata sulle transazioni digitali che potrà essere utilizzato ai soli fini dei versamenti delle imposte sui redditi. L’eventuale eccedenza potrà essere utilizzata in compensazione per i pagamento di imposte sui redditi (Irpef o Ires), Irap, contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa nonché di contributi Inail. Potrà essere utilizzato il modello F24 ma esclusivamente in formato digitale.

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