REGOLE UE

Sentenza UberPop, l’Europa metta in salvo la sharing economy

La decisione della Corte di Giustizia Ue potrebbe mettere a rischio altre piattaforme innovative, ma anche operatori consolidati come Airbnb. Serve un intervento legislativo per rendere i servizi innovativi compatibili con le normative nazionali dei settori tradizionali. L’analisi di Innocenzo Genna

Pubblicato il 20 Dic 2017

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La corte di Giustizia di giustizia dell’Unione europea è intervenuta in maniera determinante nell’annoso litigio tra la piattaforma Uber ed i tassisti. In un caso sollevato dalla corporazione catalana dei tassisti contro il servizio UberPop (quello basato su autisti non professionali e sprovvisti di autorizzazione) la Corte ha sentenziato che si tratta di un servizio di trasporto, sofisticato ed innovativo, ma non di un mero servizio della società dell’informazione. In quanto servizio di trasporto, ad UberPop si applicano potenzialmente le normative nazionali sui trasporti urbani, essendo il settore non coperto dalle regole europee sulla libera circolazione dei servizi e sul commercio elettronico. Uber mirava invece a far riconoscere il servizio UberPop come un puro servizio innovativo distinto dai trasporti, ma non ci è riuscita perché, come osservato dai giudici europei, non si limita a fornire la piattaforma tecnologica, ma organizza il servizio, disciplina gli autisti, fissa i prezzi ed impone parametri di qualità.

La sentenza riguarda UberPop, non gli altri servizi di trasporto forniti da Uber attraverso autisti autorizzati, quali UberX, UberLimo, UberBlack ecc. Uber continuerà a fornire tali servizi, pur nelle difficoltà delle negoziazioni con autorità locali e con le corporazioni degli autisti. In Italia, ad esempio, anche i servizi taxi forniti con autisti autorizzati sono stati oggetto di alterne vicende nelle aule giudiziarie.

UberPop è invece arrivato al capolinea, poiché tale servizio è potenzialmente assoggettabile alle normative nazionali sui trasporti urbani che normalmente sono incompatibili con attività svolte da semplici cittadini sprovvisti di autorizzazione. Per Uber non dovrebbe trattarsi di un problema eccessivo, poiché UberPop era un prodotto di entrata, a minor valore aggiunto rispetto agli altri. Vi potrebbero essere però problemi per altre piattaforme innovative basate sulla fornitura di servizi attraverso semplici cittadini, come nel caso delle consegne di pasti a domicilio o di merci in generale. Seguendo il ragionamento della Corte, tali servizi sarebbero potenzialmente soggetti alle normative di settore (ristorazione, logistica, sindacali ecc), il che ne decreterebbe un drastico ridimensionamento.

Ma anche operatori consolidati, basati sulla fornitura di servizi da parte di lavoratori non professionali, dovranno analizzare le ricadute della sentenza sul proprio business. Nel caso di AirBnB, ad esempio, si potrebbero porre domande simili a quelle formulate ad Uber nel caso europeo: si tratta di un servizio digitale puro (cioè di un servizio della società dell’informazione) oppure di una versione sofisticata di un servizio già esistente e cioè, nel caso di specie, di prenotazione viaggi?

La stessa Corte europea sembra essere consapevole delle ampie potenziali ricadute del proprio giudizio e precisa, nei paragrafi finali, che, almeno per quanto riguarda Uber, non vi sono politiche europee in tema di trasporti urbani ma che ciò potrebbe avvenire sulla base dell’art. 91 del Trattato TFUE. Pertanto, un intervento legislativo europeo potrebbe aver luogo per sistematizzare l’intera materia della sharing economy, anche al di là del servizio taxi, al fine di rendere i servizi innovativi compatibili con le normative nazionali dei settori tradizionali. Un tale intervento sembrerebbe auspicabile soprattutto per le startup e le Pmi, cioè gli operatori più delicati e che altrimenti potrebbero essere maggiormente danneggiati dalla sentenza odierna.

@InnoGenna

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