La web tax svantaggia le imprese italiane. A lanciare l’allarme è l’Upb, Ufficio parlamentare di bilancio, secondo cui la norma contenuta nella Legge di Bilancio ”potrebbe determinare uno svantaggio competitivo delle imprese residenti”. Le italiane pagherebbero infatti gli altri tributi nazionali aggiungendo anche questo nuovo balzello, mentre le multinazionali assolverebbero così gli obblighi con un tributo del 3%, continuando a pagare “aliquote irrisorie in paesi a fiscalità privilegiata”.
Ecco perché l’Upb auspica un coordinamento tra Paesi e teme anche problemi di applicazione del nuovo nuovo tributo.
Per comprendere i timori, l’Upb mette in risalto i meccanismi del tributo che scatta dal 2019 e si applica sulle prestazioni di servizi effettuate tramite mezzi elettronici a favore di soggetti residenti in Italia da parte di residenti e non residenti. Nella versione definitiva contenuta nella legge di bilancio, l’imposta si applica al valore della singola transazione (al netto dell’Iva) con una aliquota del 3%. Contemporaneamente, viene ampliata la definizione di stabile organizzazione dell’impresa: non è necessaria la presenza fisica ma è sufficiente una significativa e continuativa presenza economica nel territorio italiano. La web tax si applica alle transazioni business to business (B2B) riguarda imprese residenti e non residenti con un limite dimensionale relativo all’attività tassata: 3.000 transazioni annue a prescindere che il loro importo unitario sia di 1 o di 1.000 euro.
Il gettito previsto dalla relazione tecnica è di 190 milioni di euro – ricorda l’Upb – e la finalità differisce dalle ipotesi del passato che puntavano al recupero di imposte dalle società internazionali, perché “la nuova imposta è prelevata sulla transazione di natura digitale evitando di differenziare la sua applicazione sulla base della residenza”.
Secondo l’Upb, ”il nuovo tributo potrebbe determinare uno svantaggio competitivo delle imprese residenti sia rispetto al mercato tradizionale interno sia rispetto al mercato internazionale. Infatti i ricavi delle imprese digitali residenti sono sottoposti non solo al nuovo tributo, ma anche alle altre imposte dirette con le aliquote vigenti in Italia, con un onere di imposta effettivo più elevato”.
”Al contrario, per le multinazionali non residenti – afferma l’Upb – il nuovo tributo potrebbe assolvere definitivamente agli obblighi tributari in Italia continuando a pagare aliquote di imposta irrisorie nei paesi a fiscalità privilegiata. Inoltre, le grandi multinazionali non residenti, avendo un potere di mercato assai maggiore delle imprese italiane, potrebbero operare più facilmente una traslazione del tributo sui prezzi dei servizi, senza ridurre la loro competitività. D’altra parte, il livello relativamente contenuto dell’aliquota di imposta sembra costituire un compromesso tra la necessità di contrastare l’elusione fiscale e l’intento di non penalizzare eccessivamente le imprese residenti”.
L’Upb propone di seguire una strada diversa, che in realtà il governo italiano ha già avviato. “Una efficace politica di contrasto ai problemi posti dall’elusione fiscale aggressiva delle grandi multinazionali del web e dalla concorrenza fiscale dannosa tra i vari sistemi tributari nazionali – sostiene l’Ufficio Parlamentare di Bilancio – richiederebbe azioni di cooperazione e di coordinamento tra i diversi paesi, ma queste decisioni sono condizionate dai tempi (lunghi) della consultazione e della decisione internazionale. Nelle more di queste decisioni l’introduzione in Italia di un prelevo specifico sulle multinazionali digitali sembra andare oltre la semplice moral suasion di altri provvedimenti e sembra volere anticipare possibili interventi, almeno di breve periodo, concordati a livello internazionale”.
L’Upb esprime poi un ulteriore timore: ”Alcuni problemi di natura tecnica – sostiene – potrebbero rendere difficile l’applicazione del nuovo tributo e le soluzioni per la sua attuazione sono affidate ai decreti che l’Agenzia delle entrate dovrà emanare nei prossimi mesi”.