L'ANALISI

Convergenza telco-media, la strategia è davvero vincente?

La scommessa sui contenuti da parte delle Tlc – sia europee sia Usa – sta presentando conti salati. Pur avendo scongiurato fenomeni di churn, ora i “nuovi” business model cominciano a traballare: la corsa all’acquisizione dei diritti di streaming si fa sempre più onerosa. E rischia di intrappolare le aziende. E gli utenti

Pubblicato il 11 Gen 2018

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Il content è ancora “king”? Forse, ma non è detto. Sicuramente, la convergenza telco-media sta mostrando la corda ben oltre le stime e presenta il conto – molto salato – alle aziende che la stanno abbracciando. Meno valore per le società che l’hanno adottata in modo radicale, più valore per i player che sul fronte dell’acquisizione contenuti mantiene un posto “in seconda fila”.

Si lancia in un’analisi dello scenario “convergente” il Financial Times che ricostruisce come negli ultimi cinque anni molte telco europee e statunitensi sono entrate nel mondo dei media conquistando i diritti esclusivi per sport e film o serie: fra le altre BT, Altice, Verizon e Telefónica. Tutte scommesse finora applaudite come audaci e dirompenti. Miliardi di dollari sono stati investiti nella convinzione che la trasmissione di contenuti di alto livello siano il “tonico” giusto per evitare una deriva da dumb pipe alle proprie aziende ridotte a utility. Il top è stato raggiunto nell’offerta di 85 miliardi di dollari di AT&T a Time Warner: se l’accordo andrà a segno serie popolari come Game of Thrones saranno prodotte da una compagnia di telecomunicazioni.

Ma questa convergenza Tlc-media sta presentando un prezzo alto, per chi ci ha scommesso di più. Le società europee che hanno adottato strategie telco-media hanno perso in media il 40% delle loro valutazioni di borsa nel corso del 2017, secondo l’analista Stephane Beyazian di Raymond James. Al contrario le società che si sono tenute “in seconda fila” nell’acquisizione di diritti esclusivi hanno iniziato a sovraperformare: Vodafone e Orange hanno rivisto al rialzo le stime sui profitti poiché l’attenzione rivolta agli investimenti di rete ha iniziato a dare i suoi frutti.

Orange è stato uno dei primi a acquistare diritti esclusivi per le partite di calcio francesi 2008 e ha lanciato un servizio di cinema a pagamento supportato da accordi con Warner Bros, Mgm e Lionsgate. Nel giro di due anni, tuttavia, la compagnia francese si era ritirata dal contenuto esclusivo.

Stéphane Richard, numero uno di Orange, sottolinea i vantaggi del modello da aggregatore: l’azienda offre servizi TV a 2,7 milioni di consumatori, collaborando con società come Hbo, la rete via cavo Usa, per lo streaming dei programmi. “L’utente non vuole essere ingabbiato sulla scelta dei contenuti: vuole la più ampia scelta possibile al miglior prezzo“, ha detto agli investitori a Londra a dicembre. Ramon Fernandez, vice direttore generale di Orange, aggiunge che è la convergenza del fisso col mobile e non con i media, che guiderà la crescita.

Sulla stessa linea Deutsche Telekom: il ceo Tim Hoettges ha sottolineato (alla conferenza degli investitori sulle Tlc di Morgan Stanley di novembre) che invece che  investire in diritti costosi o “acquistare Time Warner”, l’azienda sta “costruendo fibra come se non ci fosse un domani”. Il gruppo tedesco ha una strategia TV a basso rischio: firma accordi con altre società come Netflix. “In certi casi, potremmo acquistare contenuti esclusivi, se è un buon affare. Ma non è il nostro obiettivo principale”.

A sé il caso di BT e Altice gruppo francese di telecomunicazioni e cavi. Gli analisti definiscono le due società “ammiraglie per la convergenza delle telecomunicazioni-media”, ma entrambe hanno vissuto 12 mesi turbolenti: Altice ha perso più della metà del suo valore mentre BT è calata di un quarto.

Vodafone, che all’inizio dell’anno ha rinunciato a lanciare un servizio di pay-TV nel Regno Unito per concentrarsi sui servizi ai clienti e sulla forza della rete, è aumentata al contrario del 17%. BT è sotto pressione: la crescita degli abbonati si è arrestata da quando ha iniziato a caricare costi sui clienti per BT Sports, in particolare con l’asta per i diritti inglesi della Premier League. Secondo Beyazian la società spende 900 milioni di sterline all’anno per lo sport, ma genera ricavi da vendite per soli 450 milioni di sterline.

Problema ancora più grave per Altice. Ha investito 1 miliardo di euro sui contenuti (inclusi i diritti della lega di calcio francese che Orange ha abbandonato). Il fondatore Patrick Drahi ha affermato che SFR, la unit di Tlc, ha fatto un “doppio errore” aumentando, sullo sport, i prezzi per tutti i clienti invece che facendo pagare di più gli utenti particolarmente interessati. Drahi ha escluso altre acquisizioni di contenuti nel breve periodo e questa settimana ha separato il business pay-TV in una divisione separata. La società ha annunciato inoltre che si sta spostando dall’acquisizione di diritti in esclusiva.

“Ma nonostante questo non tutti pensano che il contenuto sia morto”, scrive il FT. Telefónica ha investito in fibra, ma ha anche 2,4 miliardi per i diritti esclusivi per le partite di calcio spagnole nel 2016. Verizon ha da poco firmato un nuovo accordo quinquennale per trasmettere in streaming i giochi NFL dal vivo (si parla di 2 miliardi di dollari). E Telecom Italia, scrive il giornale finanziario, sta cercando un approccio leggermente diverso. Ha creato una joint venture con Canal +, la divisione pay-TV del suo maggiore azionista Vivendi, per creare contenuti. “Un tie-up che potrebbe presto includere Mediaset il cui ad Pier Silvio Berlusconi ha detto di essere “interessato ad un accordo” con Telecom Italia.

Insomma, la spinta sul contenuto ha senz’altro contribuito a ridurre il churn delle Tlc, ma il rischio è che le stesse Tlc rimangano invischiate nelle guerre, sempre più costose, all’ultimo diritto.

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