Nuovo affondo di Strand Consult contro l’Europa e le sue regole, dalla net neutrality al Gdpr alle misure fiscali il cui solo risultato, secondo la società di analisi di Goteborg, è di intralciare l’innovazione in Ue e spremere soldi dai colossi americani.
L’occasione per la riflessione degli esperti svedesi è il prossimo “compleanno” di Google, che nel 2018 compie 20 anni. E che, come Facebook, Amazon, Apple e altre aziende attive con piattaforme online e mobili, è ormai più grande di uno Stato in termini di utenti e guadagni. Come gestire colossi di queste dimensioni? La Danimarca ha mandato un Digital Ambassador in Silicon Valley equiparando le aziende californiane a una nazione, pur se del mondo digitale. “Altri chiedono un governo globale per gli attori di Internet, una sorta di Nazioni Unite del digitale, e sicuramente l’Ue vuole introdurre un sistema di regolamentazione, ma è curioso osservare come pensa di affrontare il problema”, si legge nella nota di Strand.
I regolatori sono convinti che per favorire la nascita di una nuova Google servano norme per la net neutrality, ma paesi come Olanda, Slovenia o Cile le hanno da quasi dieci anni e nessuna Google è nata, osserva Strand. Anzi, “questi paesi sono diventati meno innovativi nella Internet economy di quanto fossero prima dell’approvazione delle regole”, anche perché “la net neutrality non fa altro che rafforzare le grandi piattaforme dominanti, proteggendole di fatto dai concorrenti”.
Al contrario, continua Strand, piattaforme concorrenti sono emerse nei paesi dove non esistono norme sulla net neutrality, in particolare la Cina, cui appartengono colossi come Alibaba, la Amazon cinese, e WeChat, l’equivalente di WhatsApp nel paese asiatico. La (dannosa, secondo Strand) battaglia sulla net neutrality non riguarda solo l’Europa: negli Stati Uniti i Democratici invocano il ritorno delle norme approvate in era Obama e stralciate a fine dicembre dalla Fcc. Negli Usa la necessità di regolare le piattaforme online si lega a un nodo critico: il controllo su degenerazioni come le fake news; arginare la diffusione di informazioni tendenziose che possono influire sulle scelte politiche o sui valori democratici è considerato fondamentale.
Anche l’Europa è molto sensibile a questi temi, come dimostra l’avvio di una task force europea sulla disinformazione online. I regolatori dell’Ue, però, secondo Strand, hanno anche un altro fine: ridurre il potere di mercato dei colossi americani a suon di norme visto che “non riescono a farlo tramite l’innovazione delle imprese europee”, scrivono gli analisti. “L’obiettivo è simile per il nuovo regolamento sulla protezione dei dati Gdpr (General regulation for data protection ), uno stratagemma con cui l’Ue pensa di fare dei suoi standard sui dati una regola per tutto il mondo – non importa che il metodo sia valido o no”.
Le stilettate di Strand Consult non sono finite: altro scopo dei politici europei è spremere le piattaforme di Internet americane creando un gettito costante di denaro per l’Ue, scrivono gli esperti, secondo cui il 2018 vedrà il tema fiscale ancora più in evidenza che nel 2017. Facebook ha già fatto il primo passo indicando che pagherà le tasse nei paesi in cui ha degli uffici (30 in tutto il mondo; è presente come social network in 195 paesi): non è un cambiamento che peserà molto sui conti dell’azienda di Mark Zuckerberg, ma molti in Europa, afferma Strand, si sfregheranno le mani pensando (o illudendosi) di aver rimesso le Internet companies “al loro posto”, senza rendersi conto che “creano un danno per consumatori e cittadini”. Anche sulle fake news gli esperti svedesi non fanno sconti: “Le regole contro le notizie false sono spesso un velo sotto cui nascondere la censura“.