Meno sussidi più acceleratori

Pubblicato il 10 Apr 2009

Sarà forse l’effetto dell’accordo fra Fiat e Chrysler, dove è
l’azienda italiana a portare in dote innovazione ed alta
tecnologia, ma sembra che stia cominciando ad affermarsi l’idea
che l’Italia sia capace di fare innovazione davvero. Ma uno dei
problemi è trovare gli strumenti giusti per finanziarla.

Lo sottolinea Renzo Vanetti, amministratore delegato di
Sia-Ssb
: “Come in montagna non si parla di bello o
cattivo tempo, ma di equipaggiamento adeguato o meno, così c’è
la giusta misura in ogni area e fase economica”.“Gli strumenti
tradizionali di finanziamento alle imprese non vengono generalmente
concepiti per settori innovativi dove c’è grande mobilità a
ogni livello, dal business fino a quello organizzativo – ricorda
Fabio Benasso, Ad di Accenture -. Si tratta dunque
di mettere in campo nuovi strumenti, ancora non affermati
probabilmente per la scarsa maturità della domanda e
dell’offerta"

La critica di Franco Morganti, advisory partner di Network
Economy
, riguarda i fondamenti stessi delle logiche
finanziarie che hanno condotto alla crisi attuale e che, quindi,
devono essere radicalmente modificati per uscire dal tunnel: “Le
transazioni finanziarie sono guidate da automatismi che portano, ad
esempio, a vendere un titolo quando sale; un comportamento del
tutto illogico dal punto di vista industriale. Se un imprenditore
ha investito, innovato e sta traendo risultati, la vendita, che
provoca spesso il deprezzamento delle azioni, lo mette in crisi
anziché premiarlo”.

“Ciò che serve non sono sussidi ma acceleratori”, aggiunge
Benasso, confermando l’unanime pollice da parte di tutti gli
esperti agli aiuti pubblici diretti alle imprese. Dal Rapporto Met
emerge ad esempio che gli aiuti di Stato vengono impiegati al 56%
per accantonamento di capitale e nel 70% dei casi per obiettivi di
tipo generalista. Sarebbe invece utile, invoca Carlo
Bonomi, presidente del terziario innovativo di Assolombarda e Ad di
Extra.it
, l’aiuto per la crescita grazie a commesse
pubbliche, come avviene in tutti i paesi occidentali.Commesse
pubbliche e Borsa sono però meccanismi che aiutano imprese già
sul mercato. Uno strumento concreto per far nascere e crescere
imprese innovative viene proposto da Marco Nicolai, direttore
generale di Finlombarda che porta l’esperienza di Next, fondo di
fondi di venture capital pubblico-privato, che ha finanziato ad
oggi 80 start-up in settori hi-tech. Il meccanismo prevede non
tanto l’investimento diretto nelle imprese quanto
l’investimento in altri fondi di venture capital che a loro volta
investono in start-up imprese innovative.

Guardando alle esperienze di altri paesi, come la Francia dove
questo strumento finanziario è ampiamente utilizzato,
Elserino Piol, presidente di Pino Partecipazioni,
ritiene che un investimento pubblico di un miliardo (distribuito su
4 anni) sarebbe sufficiente ad attirare investimenti adeguati,
dall’Italia e dall’estero, dalla stessa Francia, ad esempio,
dove c’è troppa concorrenza e gli investitori sono in cerca di
altri mercati. “Fondamentale è però la gestione che, come
insegnano le esperienze in Europa e in Israele, deve essere molto
snella per avere successo”, precisa Piol. “Il rilancio non può
essere però trainato solo dal funding – sottolinea Nicolai -. Sono
indispensabili altre leve, come quella fiscale”.

Concorda in pieno Sandro Angeletti, responsabile struttura
valutazione finanziamenti R&S di Mediocredito Italiano

(Gruppo Intesa Sanpaolo), secondo il quale “sarebbe necessaria
una nuova legge Tremonti sull’innovazione”. Anche se
Giampio Bracchi presidente della Fondazione Politecnico di
Milano e di Aifi
evidenzia una certa sfiducia nella
capacità della classe politica italiana di realizzare
provvedimenti in favore dell’industria hi-tech, dal momento che
“privilegia interventi di breve respiro, che generalmente non
traguardano la legislatura, e non ha ancora ben capito il ruolo
trainante del capital venture. Va dunque data priorità a un lavoro
culturale in questa direzione”.

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