Cosa serve a un’impresa manifatturiera per costruire un business sostenibile quando il contesto competitivo è variabile e i consumatori sono esigenti in termini di qualità e servizio? Come si fa a tenere il passo di prodotti caratterizzati da cicli di vita brevi ed elevata personalizzazione? Risultati come maggiore flessibilità, migliore allocazione delle risorse ed elevata qualità si possono raggiungere se, oltre che nella fabbrica “fisica”, si investe nella fabbrica “virtuale” che consente la comunicazione e la collaborazione tra macchine e persone, tra sistemi e tra imprese.
La soluzione è racchiusa nel termine Industria 4.0, coniato dal governo tedesco nel 2011 per definire il piano nazionale per l’innovazione del sistema produttivo. Un piano visionario il cui nome è diventato sinonimo di tecnologie, azioni, investimenti che permettono alle imprese industriali e manifatturiere di aumentare la propria competitività grazie alla maggiore interconnessione delle proprie risorse (impianti, persone, informazioni) sia interne alla fabbrica sia distribuite lungo la catena del valore.
Le speranze riposte da imprese, governi e lavoratori nell’Industria 4.0 tracciano scenari densi di opportunità: inventare nuovi prodotti con caratteristiche tecniche superiori, sperimentare modelli di business legati alla sharing economy e alla servitization, rilocalizzare produzioni che nei decenni scorsi erano state delocalizzate in paesi a basso costo, creare posti di lavoro altamente qualificati nei settori industriali. Si tratta di speranze ugualmente bilanciate dalla paura di cambiare modelli produttivi che hanno sempre funzionato, di rimanere indietro rispetto all’ondata di innovazione, di investire nelle tecnologie sbagliate, di spiazzare interi settori dell’economia attuale, di ritrovarsi di colpo con lavoratori inadatti alle nuove professioni, di perdere capacità occupazionale. Speranze e paure sono legate a doppio filo al destino delle persone perché una larga parte dell’economia dei paesi sviluppati, il 24% nell’Unione Europea e il 20% negli Stati Uniti, dipende da settori industriali. Settori che, almeno nella vecchia Europa, sono costituiti per larga parte da piccole e medie imprese. Come cambierà quindi il ruolo delle persone nelle fabbriche? Saranno in grado di adattarsi e acquisire in breve tempo le competenze necessarie?
A tal riguardo, P4I-Partners4Innovation ha sviluppato una verticalizzazione specifica per l’Industria 4.0 del modello Digital DNA per la mappatura delle skill e attitudini digitali. Il Digital DNA nasce dalla sintesi tra esperienze progettuali in imprese industriali e i modelli di mappatura delle competenze sviluppati in letteratura. La metafora del DNA implica che le competenze sono una caratteristica personale – legata all’individuo o all’impresa – e devono venire mappate in funzione sia degli obiettivi professionali dell’individuo sia degli obiettivi strategici dell’impresa. Il modello del Digital DNA integra diversi framework diffusi a livello internazionale tra cui l’ “e-Competence Framework” dell’Unione Europea e, per la sua verticalizzazione all’industria 4.0, trae spunto dalla Ricerca “Jobs & Skills 4.0: Quale Evoluzione Per Professioni, Competenze e Formazione?” pubblicata dall’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano.
Le nuove skill per l’Industria 4.0 sono di natura sia tecnica sia manageriale e riguardano la manifattura nella sua accezione più estesa: dal suo cuore in fabbrica, insieme alla progettazione del prodotto-servizio, fino alla Supply Chain, all’integrazione tra sistemi IT e di produzione e alla gestione dei dati. Il Digital DNA per l’Industria 4.0 disegna quindi cinque grandi aree di competenze, la cui definizione viene tratteggiata di seguito.
Allineamento tra IT (Information Technology) e OT (Operational Tecnology)
A fianco della fabbrica “fisica” serve costruire una fabbrica “virtuale” orientata all’Industria 4.0 attraverso l’accurata selezione di hardware (sensori e attuatori), protocolli di comunicazione, software di analisi e interfacce uomo-macchina disegnate per favorirne l’usabilità. Tra le skills principali emerge la capacità di identificare requisiti di business e monitorare i trend tecnologici, saper identificare (o all’occorrenza sviluppare) gli standard rilevanti per IT-OT/Industria 4.0 e la conoscenza delle procedure di Cyber Security.
Digital soft/hard skills
Le imprese manifatturiere sono chiamate a sviluppare competenze tecniche (Coding & Hacking), che permettono di lavorare su processi manifatturieri e prodotti ad elevato contenuto digitale realizzando test e proof-of-concept con risorse limitate. Inoltre, ciascun lavoratore deve sviluppare competenze soft legate alla propria capacità di lavorare in un contesto in cui persone e macchine sono connesse (Virtual Communication e Digital Awareness). A ciò si affianca la capacità di sperimentare, reperire e imparare in modo autonomo per portare avanti le proprie attività (Self Empowerment & Entrepreneurial Attitude).
Gestione della Scienza dei Dati
Impianti e supply chain connesse richiedono skill relative alla capacità di identificare, combinare e gestire più fonti di dati. Diventano quindi importanti la conoscenza degli standard architetturali nel mondo dei Big Data, di sviluppare applicazioni di data analytics, di costruire modelli inerenti al contesto di business e di utilizzarli come input per le decisioni strategiche attraverso visualizzazioni efficaci.
Industry 4.0
All’interno della fabbrica “fisica” serve identificare le tecnologie con cui migliorare i processi esistenti. Sistemi di additive manufacturing, linee di produzione robotizzate presuppongono conoscenze tecniche profonde sia relative al processo produttivo sia relative alle tecnologie.
Innovation skills
Rientra in quest’area una combinazione di competenze cognitive, comportamentali e funzionali che permettono alle persone di diventare innovativi nel proprio lavoro attraverso un comportamento intraprenditoriale.
L’Italia si è impegnata, attraverso il proprio piano Industria 4.0 a diffondere la cultura I4.0 attraverso percorsi universitari e istituti tecnici superiori dedicati, il potenziamento di dottorati e master, creando Competence Center e Innovation Hub che attivino la collaborazione tra università, aziende e technology providers per la formazione e la definizione di veri e propri percorsi specifici dalla scuola alle carriere industriale e sistemi condivisi di certificazione delle skills.
A che punto sono quindi le aziende italiane? Secondo l’ultima survey dell’Osservatorio Industria 4.0 del 2017, su un campione di 205 aziende, il 62% tra queste sta facendo formazione, orientandosi per lo più (76%) tramite approcci tradizionali, senza quindi il supporto di tecnologie digitali o strumenti innovativi presenti nelle fabbriche 4.0, ma continuando a prediligere lezioni frontali, workshop e case study.
Il piano Industria 4.0 quindi affronta a livello istituzionale quelle sfide che ora le imprese sono chiamate a raccogliere e che riguardano:
- L’incontro tra domanda e offerta di competenze: la disponibilità di competenze sul mercato è largamente guidata dall’offerta. Le scuole professionali e le università rispondono solo in parte alla domanda (potenziale) delle imprese di competenze legate all’Industria 4.0. La presenza di un bacino di persone qualificate è la precondizione perché le imprese sviluppino progetti di innovazione.
- L’accesso all’educazione professionale: manca un adeguato numero di istituti tecnici orientati all’industria 4.0 in grado di formare “operai 4.0”, con docenti ed educatori all’avanguardia e con strutture in grado di far sperimentare agli studenti le potenzialità delle nuove tecnologie. Inoltre, serve dare continuità e diffondere una cultura dell’alternanza scuola-lavoro, sia tra le imprese sia tra le scuole e gli studenti, con progetti formativi efficaci e davvero orientati all’inserimento professionale.
- L’immagine della scuola professionale: il percorso educativo negli istituti tecnici soffre di un’immagine da “serie b” della formazione, riservata a coloro che non hanno le capacità per affrontare l’università. Si tratta di un preconcetto che va superato investendo in modo convinto e diverso su questo tipo di percorsi educativi.
- La formazione aziendale: per effettuare il reskilling di numeri elevati di persone serve sfruttare le tecnologie digitali trovando nuovi modi di formare le persone, adeguati alle abitudini degli individui, con percorsi personalizzati.