“Domani partirà una mail a tutte le aziende per spiegare il secondo capitolo del Piano Impresa 4.0. Per il 2018 il piano varrà 9, 8 miliardi, l’anno scorso 20 miliardi”. Complessivamente il piano “va molto bene. Gli investimenti sono cresciuti dell’11%, una percentuale cinese, molto superiore a quella tedesca”. Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, intervenendo a Torino all’incontro organizzato dal Mise per presentare i risultati del programma. Una riforma che “l’Italia, come le altre intraprese – non può permettersi di interrompere o si rischia di dilapidare i risultati raggiunti, di tornare in un contesto di crisi e di incertezze” ha commentato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.
Quest’anno il focus si sposta “verso competenze e formazione”: quest’anno verrà introdotto “un credito di imposta sulla formazione, per riformare le professionalità a rischio”. Si tratta di una leva che consentirà che “il piano Industria 4.0 non spiazzi i lavoratori italiani”, un elemento cardine “per rendere questa transizione a saldo positivo”. Un’operazione in controtendenza rispetto a quanto fatto negli anni della crisi quando “si sono ridotte le spese in formazione”.
Altro elemento su cui puntare, sempre in ambito formazione, “è quello degli istituti tecnici: i dati dimostrano che stiamo perdendo un’occasione di mercato. Abbiamo una richiesta clamorosa di studenti Its e questa è la soluzione più strutturale e meno costosa che possiamo trovare”. Secondo Calenda è l’elemento “più veloce per recuperare occupazione giovanile, al di là delle richieste sulla tassazione fatte”.
Se il Piano Industria 4.0 va bene non altrettanto positivo è il bilancio delle startup: “Noi che siamo il Paese delle piccole imprese non stiamo diventando il paese delle startup – ha detto Calenda -. Ancora irrisolto il nodo venture capitale, e gli strumenti che abbiamo messo fino a oggi non hanno funzionato adeguatamente”. Il ministri ritiene che “questo insieme alle competenze debba essere un elemento centrale”, segnalando che “gli strumenti finanziari ci sono, ma c’è pochissima offerta”, quindi “abbiamo un problema che continua a persistere”.
Uno sforzo deve arrivare dal settore privato sul fronte banda larga “su cui si deve concentrare un fuoco di investimenti che non può venire solamente dal governo che ha messo risorse sulle aree bianche, ma deve coinvolgere gli attori privati”. La spinta dei privati è cruciale sulle aree grigie e nere, “importanti perché è lì che sono le imprese”. In tutto ciò è importante “l’accordo con i gestori di reti private e in particolare il fatto che si riesca a identificare con chiarezza il perimetro di questa rete, sia per ragioni di accesso e sicurezza ma anche per ragioni di intensità dell’investimento”.
Sulla banda larga interviene anche Gentiloni: “Non si tratta solo di un investimento tecnologico in un’infrastruttura cruciale, ma anche di un modo per superare le barriere geografiche ma anche sociali” permettendo di includere più parti italiane “dentro i grandi processi innovativi e di trasformazione”. Un elemento forte in uno scenario a doppia valenza, dice il premier: “Da un lato il disagio sociale e l’aumento delle diseguaglianze che va apparentemente di pari passo alla crescita economica”. A smentire, dice Gentiloni, la teoria di John Kennedy per cui “la marea che sale fa alzare tutte le barche”. In questo panorama contraddittorio la sfida tecnologica gioca un ruolo fondamentale. Perderla significa “indebolire la qualità e la quantità del lavoro creando un nuovo solco fra elite cosmopolite e padrone della tecnologia e fasce sottopagate non in grado di cogliere le nuove chance offerte dal digitale”.