In Europa solo il 9% degli sviluppatori, il 19% dei capi nei settori comunicazione e il 20% dei laureati in Informatica e nuove tecnologie sono donne. Lo rileva l’ultima relazione sull’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne nell’era digitale stilata dalla Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere del Parlamento europeo. Non va meglio nel settore dei media: nel servizio pubblico dell’Unione europea la rappresentanza delle donne risulta bassa, sia nelle posizioni strategiche e operative di alto livello (36%) che nei consigli di amministrazione (33%).
In generale, nei mezzi di comunicazione soltanto il 37% circa delle notizie è riportato da donne, una situazione che non ha mostrato prospettive di miglioramento negli ultimi dieci anni; le donne sono per lo più invitate a fornire un’opinione popolare (41%) o un’esperienza personale (38%) e sono raramente citate in qualità di esperti (soltanto nel 17% delle notizie).
Oggi la commissaria europea al Digitale, Mariya Gabriel ha presentato una nuova strategia per incrementare la presenza delle donne nell’economia digitale. “Sono estremamente preoccupata dall’assenza delle donne nell’economia digitale”, ha detto Gabriel, davanto al Parlamento europeo – Un maggior numero di donne nell’occupazione digitale potrebbe portare ad un incremento annuale del Pil di 16 miliardi di euro nell’Unione europea. Tuttavia solo il 24,9% delle donne si laurea in settori legati alla tecnologia e solo il 14,8% dei fondatori di start-up sono donne, nonostante, le start-up al femminile abbiano in generale maggiori probabilità di successo”. Tre i punti del piano d’azione: combattere gli stereotipi nei media, incoraggiare le ragazze a migliorare le competenze nel digitale e a seguire studi di scienza, matematica, ingegneria e tecnologia, promuovere l’imprenditoria digitale femminile.
Le tecnologie sono una grande leva per la parità di genere come fa notare anche InGenere, che riprende un’analisi dell’Ocse: la trasformazione digitale aprirà delle opportunità per ridurre gli ostacoli che le donne affrontano nell’accesso e all’interno del mondo del lavoro, a patto che vengano messe in campo politiche di sostegno a questo cambiamento epocale. A partire dalla promozione della partecipazione delle donne allo studio delle Stem e dalla ruduzione del gap all’uso delle tecnologie. Serve poi promuovere modalità flessibili di lavoro utilizzando le nuove tecnologie e, al contempo, assicurare che tali modalità non abbassino la qualità del lavoro.
A questo proposito il Miur ha varato una direttiva per avviare a sperimentazione di un percorso di smart working per consentire la conciliazione dei tempi fra vita privata e vita professionale delle dipendenti e dei dipendenti. “Lo scorso 8 marzo, proprio qui al Ministero, – ha affermato la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli – abbiamo dichiarato chiaramente che asse fondamentale della nostra azione politica nell’ambito dell’istruzione, dell’università e della ricerca sarebbe stata l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’Onu, con particolare riferimento agli obiettivi quarto e quinto che riguardano l’istruzione di qualità e la costruzione di una società di pari opportunità. Tutto ciò che è stato presentato oggi al Miur risponde a quella precisa dichiarazione di intenti. Crediamo, come ministero che guida e orienta la filiera del sapere, di avere la responsabilità di promuovere una cultura del rispetto, che superi gli stereotipi e riconosca il valore della diversità. Non solo all’esterno ma anche all’interno dell’amministrazione”.
Il Miur ha inoltre lanciato un progetto per incentivare le ragazze allo stdio delle Stem. Una ricerca CA Technologies evidenzia l’importanza di coniugare le Stem con quelle artistico-umanistiche per creare innovazione nell’economia digitale. Le donne all’interno dei team di sviluppo possono dare un significativo valore aggiunto alla creazione di prodotti e servizi in grado di cogliere maggiormente e indirizzare meglio le esigenze dell’utenza femminile.
Le donne inoltre possiedono alcune delle competenze maggiormente richieste nei processi di innovazione ovvero soft skill e capacità di problem solving. Capacità che se messe a valore un contesto abilitante possono spingere anche l’impresa.
Lo dimostra la ricerca Accenture “Getting to Equal 2018”,secondo cui la creazione di una cultura della parità di genere sia in grado di valorizzare le potenzialità femminili e permettere l’avanzamento di tutta la forza lavoro. Lo studio infatti mette in luce i 40 fattori che, attivati correttamente all’interno dell’azienda, possono contribuire alla promozione di un ambiente di lavoro inclusivo in cui ciascun dipendente può crescere professionalmente.
Se tutti i 40 fattori agissero a pieno regime, per ogni 100 manager maschi ce ne sarebbero fino a 80 di sesso femminile, ribaltando il rapporto attuale che è di 38 ogni 100. Le donne avrebbero il quadruplo delle possibilità di raggiungere posizioni di senior manager e director. In Italia la differenza retributiva tra uomini e donne oggi pari a 100 dollari contro 59 scenderebbe a 100 contro 93. Secondo il modello Accenture, la sola diffusione di questi fattori in tutti gli ambienti lavorativi permetterebbe alle donne, sempre a livello globale, di guadagnare 92 dollari per ogni 100 guadagnati da un uomo. Così il divario retributivo verrebbe quasi del tutto annullato. Stimolando anche la creazione di nuove imprese. A raccontare quello che sta succedendo su questo fronte è il Mastercard Index of Women Entrepreneurs (MIWE): in Italia le attività imprenditoriali femminili crescono del 41%. La classifica dei paesi in cui le donne imprenditrici ricevono maggiore supporto e condizioni migliori, pur non essendo immuni da pregiudizi e discriminazioni, vede stabile al primo posto la Nuova Zelanda (74,2), seguita da Svezia (71,3), Canada (70,9) e Stati Uniti (70,8). Nella top ten rientrano anche: Singapore (69,2), Portogallo (69,1), Australia (68,9), Belgio (68,7), Filippine (68) e Regno Unito (67,9).
Inoltre, la ricerca indica che le migliori opportunità imprenditoriali per le donne, non sempre vanno di pari passo con lo sviluppo economico di un paese. Economie emergenti come il Ghana (46,4%) – che rientra per la prima volta nello studio quest’anno, insieme a Malawi e Nigeria, Uganda (33,8%) e Vietnam (31,3%), presentano le percentuali più alte di donne imprenditrici, le quali avviano un’attività mosse dalla necessità anche quando mancano conoscenza e opportunità economiche.
L’Italia, come evidenzia la ricerca Mastercard Index of Women Entrepreneurs, registra una crescita del 41% delle attività imprenditoriali avviate da donne, seconda solo alla Corea, dove il numero delle donne imprenditrici è aumentato notevolmente (+88%), e prima della Svezia e Costa Rica che la seguono (+37%).
Secondo lo studio Mastercard, nel nostro Paese, le donne imprenditrici rappresentano circa il 26% del totale, rientrando nella top 20 dei paesi con donne ai vertici di aziende.