Se ce ne fosse ancora stato bisogno, il “caso Facebook” e i dati di 50 milioni di utenti ceduti alla società Cambridge Analytica, poi utilizzati per la campagna elettorale di Donald Trump, ha reso ancora più evidente l’invadenza dei giganti del Web nella vita dei singoli cittadini. Ma tutto questo non è inevitabile. Si possono prendere una serie di contromisure che “disorientino” gli algoritmi e ci restituiscano la libertà. E’ la tesi di Nicola Zamperini (nella foto in basso), autore del “Manuale di disobbedienza digitale” recentemente pubblicato da Castelvecchi.
L’autore, giornalista e consulente per le strategie digitali di grandi aziende e istituzioni, tra le “firme” del blog sull’Huffington Post e docente di digital literacy per i professionisti della Sanità, scatta una fotografia della situazione attuale e delle prospettive dell’utilizzo dei dati degli utenti, suggerendo nella parte finale alcune “azioni di disturbo” che rimettano gli utenti di nuovo al centro, soggetti attivi e non più passivi.
Nella prima parte il volume racconta la genesi culturale delle techno corporation, per poi analizzare lo snaturamento che gli algoritmi hanno provocato su alcune dimensioni centrali della nostra esistenza: dall’amicizia alla memoria, dalla nascita alla morte. “Attraverso un clamoroso processo di mistificazione culturale – spiega l’autore – alcuni uomini hanno trasformato l’idea di libertà connessa alla rete in un supermercato globale, in cui noi siamo i prodotti in vendita”.
“La prima forma di disobbedienza digitale è la consapevolezza digitale – spiega l’autore – Il conoscere come abitiamo lo spazio digitale e quali sono le dinamiche che agitano e muovono questo spazio. Nell’ambito della consapevolezza il capire quale sia l’origine e l’infrastruttura culturale che è alla base di Facebook, Google e delle altre grandi techno-corporation risulta essenziale. Anche perché si tratta di una genesi lontana dai modelli europei, tipicamente statunitense”.
Con il suo lavoro Zamperini vuole rendere evidente “tutto ciò che gli algoritmi ci stanno sfilando da sotto al naso, le qualità che ci rendono uomini – sottolinea – e che stiamo via via regalando in cambio di nulla alle macchine. Dalla memoria alla compassione, dalla nostra morte al modo di dirci addio”.
Ma qual è – se c’è – la soluzione che potrà consentire agli utenti del Web di rompere queste catene? Qui entra in gioco il concetto di “disobbedienza digitale”: per sottrarsi da questa morsa, spiega Zamperini, “sarà necessaria una sorta di diserzione: praticare gesti di follia a casaccio, momenti di imprevedibilità digitale e inversioni di rotta non programmate”.
Alcuni esempi? L’autore elenca 100 consigli, che sono per lo più “regole ideali, sentimentali – sottolinea – Purtroppo non si può sfuggire al predominio delle techno-corporation, i comportamenti servono a ricordarci cosa e quanto cediamo di noi stessi ogni giorno”. Così nasce l’idea di fornire indicazioni false “ma realistiche” quando ci si iscrive a un social network, sostenendo di vivere in un’altra città e taggandosi su luoghi in cui non si è mi stati. Poi navigare sempre in modalità anonima, riflettere prima di pubblicare una foto, e tra le altre postarne alcune incomprensibili: marciapiedi, muri, porzioni di oggetti. Ma anche aggiungere sconosciuti tra gli amici, o andare a correre senza cuffie, senza smartphone e senza Runtastic. E infine, quando ci scopriamo indignati, manifestiamo e parliamone, ma non su Facebook né su Twitter. Un percorso “detox” che renderà ogni persona un po’ più libera e imprevedibile, proprio come nella maggior parte dei casi vorrebbe essere, se si rendesse conto di quanto di sé stessa sta consegnando, un po’ per volta, a chi fonda proprio su questo il proprio business.