“Anche i miei dati tra quelli condivisi da Cambridge Analytica”. Lo ha detto Mark Zuckerberg, Ceo di Facebook, nel suo secondo giorno di testimonianza al Congresso Usa. Il Ceo è dunque uno degli 87 milioni di utenti del social network le cui informazioni, come detto dall’azienda di Menlo Park la settimana scorsa, sono state “impropriamente condivise” dalla società londinese di dati usata anche dalla campagna elettorale di Donald Trump. La deputata democratica della California, Anna Eshoo, che rappresenta al Congresso Usa la Silicon Valley, ha chiesto esplicitamente al Ceo se i suoi dati personali erano stati venduti. Zuckerberg ha risposto affermativamente.
Non è l’unica novità emersa nel corso delle audizioni. Ieri il Ceo ha detto davanti al Congresso che “ci sarà sempre una versione gratuita di Facebook”. Dunque è in vista una versione a pagamento del social network utilizzato da 2 miliardi di persona nel mondo? L’ipotesi è rimbalzata sui media americani secondo i quali all’orizzonte di un nuovo modello di business orientato a un utilizzo “corretto” dei dati ci sia anche una versione a pagamento. Già nei giorni scorsi il Coo di Facebook Sheryl Sandberg aveva detto che per consentire agli utenti di rinunciare a condividere le proprie informazioni con gli inserzionisti sarebbe stato necessario un modello a pagamento. Senza però specificare se tali cambiamenti sarebbero stati imminenti. Zuckerberg non ha negato che la compagnia stia considerando opzioni del genere. “Penso che quello che Sheryl Sandber stava dicendo è che per non pubblicare annunci avremmo bisogno di un diverso modello di business – ha detto -. Pensiamo che offrire un servizio supportato da pubblicità sia il più allineato con la nostra missione”.
Ma è stato il “mea culpa” il senso dell’audizione di 5 ore resa ieri dal Ceo ieri al Senato del Congresso Usa per gli abusi effettuati sugli account degli utenti nel caso Cambridge Analytica. Stasera Zuckerberg torna al Congresso per testimoniare, questa volta in commissione alla Camera.
Sul caso non sono solo gli Usa a prepararsi a dare battaglia legale. L’Europa prende le misure della fuga di dati: il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, specifica di attendersi “un dibattito alla prossima plenaria – dice su Twitter – su come rafforzare le regole dell’Ue per rendere le piattaforme pienamente responsabili”. Inoltre, il WP29 annuncia la creazione di un Social Media Working Group per sviluppare una strategia di lungo termine su questo argomento. E a Bruxelles cinque organizzazioni che rappresentano i consumatori italiani ed europei si sono incontrati con i rappresentanti di Facebook sulla richiesta di danni elaborate dagli utenti colpiti dal caso. A nome “del milione e mezzo di iscritti” sono state formulate richieste per risarcimenti e per l’individuazione comune di “una modalità che possa rendere gli utenti unici e soli gestori dei propri dati”.
Fronte italiano. Anche l’Italia affila le armi. L’Antitrust guidata da Francesco Pitruzzella ha inviato all’azienda una contestazione che accusa il social di aver ingannato i consumatori italiani: azioni e omissioni ingannevoli, pratiche commerciali aggressive, e indebito condizionamento sono le accuse alle quali Facebook dovrà rispondere entro 30 giorni. Il rischio per l’azienda è una sanzione da 5 milioni di euro, cifra che potrebbe moltiplicarsi con effetto domino in tutta Europa: l’Italia ha già informato la Commissione Ue dell’iniziativa.
Anche la Privacy di Antonello Soro sta lavorando alacremente al dossier. Ieri il Garante ha incontrato a Bruxelles gli altri colleghi europei: sul tavolo l’ipotesi di lavoro comune per definire la sanzione prevista dal Gdpr che entra in vigore il 25 maggio: si tratta del 4% del fatturato della società ma si punta a rivederla al rialzo.
Inoltre sul fronte privacy potrebbero essere previste class action da parte degli utenti.
L’ipotesi a cui lavora l’authority prevede però anche l’allargamento dell’inchiesta ad altre società specializzate in marketing, in special modo politico, con cui la società americana aveva stretto accordi. Il Garante starebbe indagando, scrive la Repubblica, anche sul sistema utilizzato nel corso della campagna elettorale dalla Lega che aveva organizzato un concorso a premi per i propri fan: concorso che richiedeva dati personali e accesso ai dati degli “amici”.
Anche la procura di Roma è al lavoro: dossier senza ipotesi di reato, ma che lascia una delega in bianco alla Polizia Postale secondo cui gli utenti italiani colpiti sono oltre quelli denunciati da Facebook. Sul caso è attesa la risposta di Cambridge Analytica che dovrà fornire la lista degli utenti profilati.
L’audizione al Congresso. Testimonianza attesa, quella di ieri, che ha scatenato le proteste di centinaia di persone fuori da Capitol Hill. La testimonianza ha visto l’ad del social network ripetere quello che aveva detto più volte nel corso di queste settimane, da quando è scoppiato lo scandalo Cambridge Analytica. “Abbiamo fatto errori e la colpa è mia”, ha affermato Zuckerberg sostenendo di aver dato troppo spazio alla società di consulenza che ha usato i dati personali di 87 milioni di persone per fare pubblicità mirate e aiutare Donald Trump a vincere le elezioni presidenziali del 2016 negli Stati Uniti.
Nel corso della testimonianza sono emersi due passaggi fondamentali. Da una parte l’ad ha ammesso che “è necessario fare delle leggi” per regolamentate il settore tecnologico. Questo dopo che diversi senatori gli avevano ripetuto che il Congresso potrebbe andare in questa direzione. Dall’altra ha ammesso che la “responsabilità dei contenuti che si trovano sulla piattaforma è tutta di Facebook”, anche se il social “è un gruppo tech e non un media”, ha aggiunto Zuckerberg. I politici lo hanno incalzato sulla competizione. Zuckerberg non ha saputo indicare il principale avversario, ma ha detto che a lui “non sembra che Facebook detenga un monopolio”. Ma
Spunta un’altra novità. Tra i dati condivisi nello scandalo Facebook-Cambridge Analytica ci sarebbero anche messaggi privati, non solo dati dei profili pubblici. Lo rivela il New York Times, in base alle informazioni “di un piccolo numero di utenti” che ha ricevuto la notifica dal social network di essere stati impattati dal caso. Facebook ha iniziato a spedire gli alert da lunedì 9 aprile e ha lanciato sulla sua piattaforma uno strumento, accessibile a tutti gli utenti, per capire se e quali loro informazioni sono state condivise. Nella notifica, riporta il Nyt, “Facebook ha spiegato che le informazioni raccolte erano limitate a quello che gli utenti avevano pubblicato sui profili pubblici, ma un ‘piccolo numero di persone’ ha anche condiviso messaggi”. Secondo il Nyt, “Facebook non ha specificato quanti messaggi di persone sono stati raccolti”, il social ha spiegato “che sta ampliando il suo spettro il più possibile nella notifica agli utenti”.