Tassare le multinazionali del web è questione cruciale dell’economia contemporanea ma web tax nazionali sono controproducenti. E’ la posizione del Fondo monetario internazionale articolata nel capitolo analitico del suo Fiscal Monitor, il rapporto redatto in vista degli Spring Meetings che inizieranno la settimana prossima a Washington. Intitolato “Il governo digitale”, il capitolo 2 fa notare che “la natura transnazionale delle attività digitali potrebbe forzare un modo nuovo di pensare all’architettura tributaria internazionale”.
Inoltre “l’espansione delle piattaforme digitali potrebbe richiedere un nuovo approccio fiscale relativo ad assicurazioni sui redditi”, qui intese come meccanismi pubblici di sostegno ai redditi (per esempio, sussidi di disoccupazione, redditi minimi etc) e soluzioni private per assicurarsi contro shock sui redditi.
In questo senso vengono bocciati tutti i tentativi di tassare Amazon & co a livello nazionale, compreso quello italiano. Stando a Vitor Gaspar, direttore del dipartimento degli Affari fiscali del Fondo, la soluzione italiana e una simile adottata in Israele sono “non coordinate” e dunque “non possono fornire una risposta”.
“Dal momento che l’economia diventa digitale, soluzioni globali sono necessarie“, scrive cofirmando con la sua vice Genevieve Verdier un blog che accompagna il capitolo analitico del Fiscal Monitor. Nel blog si legge che “aziende come Google, Apple, Facebook e Amazon sono finite nell’occhio del ciclone ma le aziende digitali ci circondano ovunque”. Quei gruppi “generano le vendite con ben poca presenza fisica. Beneficiano del valore creato dagli utenti (l’utilizzo di app su smartphone genera liberamente informazioni di valore). I governi possono e devono tassare un tale valore laddove il consumatore risiede, anche se l’azienda ha la sua sede fisica altrove?”. Riconoscendo che la dimensione delle attività digitali ha sollevato questioni sull’equità dei sistemi fiscali attuali, Gaspar e Verdier fanno capire di preferire soluzioni globali.
La digitalizzazione non può risolvere tutti i problemi di un Paese ma i governi non possono ignorare lo sviluppo delle nuove tecnologie, che possono comunque trasformarne la loro politica fiscale. L’Fmi spiega che la digitalizzazione – intesa come “l’integrazione nella vita quotidiana di tecnologie digitali volte a facilitare la disponibilità e la gestione di informazioni più affidabili, tempestive e accurate” – presenta opportunità “importanti” ma anche sfide per la definizione e la messa in pratica della politica fiscale di una nazione. Parlando dei lati positivi, il Fondo cita l’adozione di strumenti digitali per “aumentare la raccolta indiretta di tasse ai confini fino al 2% del Pil annuo”. Inoltre, la digitalizzazione potrà aiutare a scovare i patrimoni parcheggiati in giurisdizioni fiscalmente vantaggiose, “stimati al 10% del Pil mondiale”.
Sul lato della spesa pubblica, i servizi pubblici forniti “possono migliorare” così come la partecipazione dei cittadini a misure di protezione sociale. Senza ignorare le implicazioni di una rapida espansione delle aziende digitali come Google, Apple, Facebook e Amazon – che “generano vendite con una ridotta presenza fisica” e che “beneficiano del valore creato dagli utenti” – il Fondo affronta anche le questioni tributarie delle attività digitali che ci circondano suggerendo dunque “soluzioni globali.
L’Europa intanto si è mossa. Due le proposte per tassare i big del web. La prima, quella relativa alle norme, definisce il “perimetro” entro cui è possibile la tassazione degli utili anche in presenza di una società che non abbia presenza fisica in uno Stato membro. In dettaglio, una piattaforma digitale sarà considerata una “presenza digitale” imponibile o una stabile organizzazione virtuale in uno Stato membro nel caso si superi la soglia dei 7 milioni di euro di ricavi annuali in uno Stato membro, si superino i 100.000 utenti in uno Stato membro in un esercizio fiscale e si registrino oltre 3.000 contratti commerciali per servizi digitali tra l’impresa e utenti aziendali in un esercizio fiscale. La seconda proposta, quella sull’imposta temporanea, punta a garantire che le attività attualmente non tassate inizino a generare un gettito immediato per gli Stati membri e ad evitare che alcuni Stati membri adottino misure unilaterali per tassare le attività digitali. L’imposta indiretta in questione si applicherebbe ai ricavi generati da determinate attività digitali che sfuggono completamente al quadro fiscale attuale.