La nostra PA non è in grado di traghettare il Paese verso gli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda Onu 2030. L’analisi impietosa è di Gianni Dominici, direttore generale di FPA, che in vista di Forum PA 2018, in programma a Roma dal 22 al 24 maggio, racconta a CorCom cosa si può fare – davvero – ad invertire la rotta. E come la manifestazione si può trasformare anche in una piattaforma di proposta.
Quest’anno Forum PA cade in un momento di passaggio tra una legislatura e un’altra. Lo switch può essere un’opportunità?
Può esserlo se si elimina il rischio “anno zero dell’innovazione”: accantonare quello che di utile è stato fatto, voltare pagina e riscrivere tutto. Un rischio che il Paese non può permettersi se si intende, strategicamente, fare propri gli obiettivi di sostenibilità definiti dall’Onu da qui al 2030, per raggiungere i quali il digitale è cruciale. Può diventare, invece, un’opportunità se si promuove – questo faremo al prossimo Forum PA – una riflessione sulla necessità di mettere ai primi posti della prossima agenda politica un profondo percorso di rinnovamento della nostra pubblica amministrazione.
L’Italia cambia se cambia la sua amministrazione. È un mantra che si ripete da anni Eppure di programmi di digitalizzazione a livello governativo, ma anche locale, ce ne sono stati. Perché non hanno funzionato?
Il punto è che al di là dei programmi e dei singoli progetti alla PA italiana serve un approccio completamente nuovo ai processi di trasformazione.
Di che tipo?
Un approccio di tipo collaborativo tra i diversi player del settore pubblico – PA stesse, cittadini, associazioni – che riflettono insieme, elaborano proposte per innovare il Paese. È quella che Stephen Goldsmith chiama governance distribuita dove si lavora insieme per spingere la trasformazione e combattere la burocrazia, abbandonando la logica verticale a favore di una orizzontale, che apra le porte ai contributi anche dal basso.
Questo l’approccio. Invece, gli strumenti per abilitare questo paradigma?
Le nuove tecnologie sono cruciali perché consentono di agevolare i processi decisionali aperti e di promuovere la progettazione partecipata valorizzando le reti sociali e le connessioni comunitarie. Così la PA diventa una piattaforma abilitante. Non a caso sarà proprio Stephen Goldsmith ad aprire Forum PA 2018: il suo keynote speech verterà sui temi dell’open governance e dell’amministrazione partecipata.
L’Open governance sarà il filo rosso della manifestazione, dunque.
Sì, partiremo con Goldsmith e, passando per convegni e momenti di formazione, chiuderemo con l’Ost. Ost sta per Open Space Technology: l’ultimo giorno di manifestazione si aprirà un momento di analisi, confronto e proposta con i rappresentanti della PA, le aziende e associazioni di cittadini che daranno il loro contributo per “disegnare la nuova PA”. L’Ost valorizza l’intelligenza collettiva e la capacità di tutti gli attori di auto-organizzarsi. Il frutto di questo confronto andrà ad arricchire il Libro Bianco, di proposte e spunti, che intendiamo presentare al nuovo governo.
FPA ha un osservatorio privilegiato sulla PA. In Italia esistono realtà che più o meno consapevolmente hanno adottato il paradigma dell’open governance?
Quell’approccio c’è laddove i player dei territori – imprese, camere di commercio università e PA – fanno asse per lo sviluppo del territorio. Come succede a Cremona, ad esempio, che ha puntato a un modello di innovazione che supera la smart city e abbraccia la smart land. Il Comune ha battezzato il Polo tecnologico Crit che farà appunto da pivot territoriale, facilitando il miglior utilizzo delle tecnologie digitali a servizio delle comunità locali. Lì la realizzazione di questo asset è stata possibile grazie alla presenza di una utility con un dna altamente innovativo, come A2A, un PA aperta alle collaborazioni esterne e un tessuto imprenditoriale consapevole che la scommessa sull’innovzione è quella vincente.