La rete – ancor più dell’unione – fa la forza anche nel mondo delle imprese. I legami intersettoriali sono oggi il principale tramite per la diffusione di tecnologie e know how all’interno dei sistemi produttivi. Le industrie italiane stanno diventando sempre più abili a sfruttare le reti, sulla scorta del “modello tedesco”. Lo certifica oggi l’Istat, che ha presentato alla Camera il suo rapporto annuale.
Dal confronto fra Italia e Germania, condotto dall’Istituto di statistica, emerge che numero e caratteristiche dei legami intersettoriali a disposizione delle aziende pongono le due nazioni allo stesso livello per relazioni attivate. L’Italia risente dell’isolamento di alcuni settori periferici e mostra perciò una minore capacità di trasmissione di conoscenza e tecnologia attraverso il canale degli scambi tra industrie. Secondo l’Istat, ciò è dovuto a una struttura di scambi ancora frammentata e che tende a escludere i settori più avanzati. I centri decisionali sono concentrati soprattutto nelle regioni del Nord-Est, mentre si registra una minore interdipendenza nel Mezzogiorno. Si confermano maggiori livelli di interconnessione nelle città di media e grande dimensione: al centro della rete ci sono Roma, Milano e, in misura minore, Torino.
Ancora poco sviluppate le forme di cooperazione finalizzate all’innovazione. In Italia la definizione di accordi con università o centri di ricerca resta difficile per le imprese di piccole o medi dimensioni. Fra i partecipanti al programma di ricerca della Commissione europea Horizon 2020, che promuove la collaborazione tra consorzi di ricerca, istituzioni e imprese europee, le vere protagoniste restano le università britanniche e le imprese tedesche. Le aziende italiane si mostrano più inclini a collaborare con le colleghe tedesche, francesi e spagnole, mentre limitati restano i contatti con università e centri di ricerca italiani.
La difficoltà per le imprese di stabilire reti per l’innovazione riflette forse la poca familiarità degli italiani con la Rete. Il nostro Paese si colloca agli ultimi posti in Europa per numero di utenti regolari su Internet tra i 16 e i 74 anni (69%). Naviga di più la generazione delle reti, quella nata dopo il 1996 (90,3%). Negli ultimi dieci anni, però, la generazione di transizione – nata tra il 1966 e il 1980 – ha ridotto il divario con chi è cresciuto nell’era digitale (dal 48,2% del 2006 al 79,6% del 2016). Sono più presenti online le persone con titoli di studio più elevati e quelle residenti nel Centro-Nord. Il 60% degli utenti regolari utilizza almeno un social network, il 52,5% invia messaggi in chat, scrive su blog e forum, il 32,4% condivide testi, fotografie o musica. Attività diffuse in modo trasversale nel Centro-Nord, nel Mezzogiorno e nei territori disagiati. “L’uso delle piattaforme sociali – sottolinea l’Istat – avvicina le generazioni e annulla le differenze tra persone con livelli di istruzione diversi”.