Con la formalizzazione della nascita di Irideos si aggiunge un altro tassello nel puzzle delle telecomunicazioni italiane. Il suo battesimo è dovuto soprattutto al dinamismo di F2i che dopo essere uscito dalle telecomunicazioni con la vendita di Metroweb a Open Fiber, vi è rientrato con una strategia di acquisizioni di aziende di tlc minori come Infracom, KpnqWest Italia, MC-link e Big Tlc. Tutte quante caratterizzate dalla presenza in mercati locali o su settori specifici di business. Vedremo come evolverà l’iniziativa. Ad esempio, sarà da vedere se al gruppo dei quattro si aggiungeranno nuovi membri (i candidati non mancano) oppure il destino sarà diverso, magari assorbiti da un’entità più grande: anche se fusi da quattro in uno, non sarà semplice navigare in solitaria nel tormentato mondo delle telecomunicazioni, in rapida evoluzione competitiva oltre che tecnologica.
Gli azionisti di Irideos sono F2i SGR (all’80%) con al 20% il fondo Marguerite, creato col supporto di sei istituzioni finanziarie pubbliche europee. Ma si dà il caso che partner importante di F2i sia la Cassa Depositi e Prestiti essendone di fatto l’azionista di riferimento, se non altro per il “peso qualitativo” della sua presenza nel fondo. Se non altro perché Cdp è sì (lo riconosce anche l’Ue) una società privata, ma è comunque anche un “braccio” economico del governo che ne nomina i vertici e ne possiede l’80% del capitale attraverso il ministero delle Finanze.
Cdp, però, ha i suoi piedi in altre due scarpe delle telecomunicazioni, ben più rilevanti di Irideos: Open Fiber e Tim. In Open Fiber la cassa è stata decisiva: senza il suo contributo al 50% del capitale, mai Enel si sarebbe mossa sulla strada delle telecomunicazioni. Di conseguenza Open Fiber non sarebbe nata e non si sarebbe lanciarta a vincere le gare Ftth nelle aree a fallimento di mercato e a progettare ambiziosi investimenti nelle aree A e B, in diretta competizione con Telecom. Un progetto, quello di OF, forte sì delle sue ragioni di business e delle sue strategie industriali, come non si stancano di ripetere i suoi vertici e quelli dell’Enel. Ma forte anche della coerenza con la strategia della banda ultralarga dei governi Renzi e Gentiloni, che, stanchi di aspettare gli investimenti Ftth di Telecom Italia e ai ferri sempre più corti con i francesi di Vivendi, hanno facilitato la mobilitazione delle truppe di Enel e Cdp. E Open Fiber ha vinto contro Telecom Italia le gare nelle aree a fallimento di mercato e sta andando a colpire con una strategia Ftth wholesale il dominio di Tim nelle aree grigie e nere.
Improvvisamente, però, Cdp ha messo i suoi pesanti piedi in un’altra scarpa, quella del maggior concorrente sulla rete della sua partecipata OF: Telecom Italia. Una presenza apparentemente ancora modesta, appena sotto il 5%, ma comunque significativa. E non solo per il peso dell’azionista Stato in Cdp. I voti della Cassa sono risultati decisivi per la defenestrazione del consiglio targato Vivendi e la vittoria degli “indipendenti” di Elliott.
Dopo essere rimasto per anni alla finestra, delegando alle authority di regolazione l’evoluzione del mercato delle tlc, riecco lo Stato telefonista. Le ragioni di questo rinnovato dinamismo pubblico paiono molteplici. La necessità di avere un protagonista diverso da Telecom Italia che sbloccasse gli investimenti nella fibra; l’esigenza di dare una risposta alla tormentata presenza in Telecom di Vivendi, i cui errori ed eccessi sono evidenti a tutti, forse ormai anche agli stessi manager francesi; la strategia di Cdp/F2i di creare una aggregazione fra le tlc minori.
Ma tutto questo dinamismo in vista di cosa? Le domande senza risposta sono molteplici, così come molti sono gli scenari non ancora definiti. Lo scorporo della rete di Telecom resterà sostanzialmente un fatto di riorganizzazione interna con motivazioni soprattutto di tipo finanziario e regolatorio o prelude ad una successiva fusione con Open Fiber, pure decisamente smentita da entrambi i diretti protagonisti?
Che si arrivi o meno alla integrazione dei due network, come si può evitare il boomerang di duplicazioni di investimenti ultrabroadband in aree (soprattutto grigie, ma anche nere) dove la copresenza di due reti Ftth può essere economicamente poco sostenibile?
L’intervento di Cdp in Telecom va letto solo in chiave anti-Vivendi pro public company (se mai ci si arriverà) o è destinato a diventare più incisivo anche come partecipazione al capitale e alle strategie dell’azienda?
Il ruolo aggregatore di piccole realtà da parte di F2i è destinato a continuare? E per farne poi cosa del polo dei piccoli? Mantenerlo indipendente o aggregarlo a qualche operatore, magari Telecom come pure si comincia a sussurrare?
Cdp si trova ad avere i piedi in tre scarpe tra loro sparigliate, con un evidente rischio di molteplici potenziali conflitti di interesse. Difficile immaginare la Cassa come un mero investitore finanziario che punta le sue chip su tavoli diversi, con una mera strategia di guadagno più o meno a lungo termine. Non lo è in Open Fiber e probabilmente non lo è neanche altrove.
Ovviamente, i vertici di Cdp, per quanta autonomia e forza autonoma abbiano, sono costretti a puntare la rotta dove indica il governo. Gentiloni non ha rinnovato il consiglio in scadenza. Il compito toccherà al governo che sta per nascere, così come gli toccherà delineare se e in che direzione continuerà l’interventismo di Stato nelle tlc. Programmi elettorali e dichiarazioni dei leader 5 Stelle parlavano di una unica rete ultrabroadband pubblica, ipotesi su cui anche la Lega non sembrava avere problemi. Istanza condivisa anche dal Pd, ora all’opposizione.
Che ne penserà il nuovo governo? In che direzione indirizzerà la nave di Cdp? Quali strategie ed azioni metterà in campo per le tlc? Nella bozza di programma che andrà in votazione online per i 5 Stelle e nei gazebo per la Lega, di telecomunicazioni si parla solo nel titolo del capitolo 25. Leggendone il testo, però, ci si rende conto che la parola telecomunicazioni vuole in realtà dire soltanto Rai. Di evidenti, per ora restano soltanto le tre scarpe di Cdp.