Incontro un amico che – i casi della vita – adesso è un pezzo
grosso di una Asl e scopre – altri casi della vita – che io faccio
il professore di comunicazione anzi, dice lui, il
“comunicatore”. Mi parla infervorato dell’Urp (Ufficio
relazioni pubbliche) della sua Azienda sanitaria e del sito
Internet che si è fatto fare a caro prezzo da una ditta
specializzata. Andrò poi a vederlo, a casa, il sito web: gelido,
istituzionale, interattività niente, elenchi di primari, orari di
reparti. Cerco di spiegargli che i problemi della comunicazione in
sanità sono ben altri: il consenso informato, la privacy del
paziente, i rapporti medico-paziente e paramedici-paziente (spesso
contraddittori fra loro), la redazione della cartella clinica che
sembra un segreto di stato (il paziente la vedrà solo un mese dopo
l’uscita dall’ospedale), le comunicazioni con i parenti anche
nei casi di relazioni di fatto diverse da quelle registrate
all’anagrafe (una coppia gay, ad esempio).
Il mio amico non sa che basta digitare su Google “polmonite” o
“stitichezza” per ritrovarsi in decine di forum di self help in
cui persone non titolate danno consigli su come curarsi con le
erbe, ma anche con gli antibiotici; in cui intervengono anche
medici alla ricerca di clienti. Dopo aver scritto che la loro
diagnosi non può sostituire quella effettuata di persona presso
una struttura medica (tanto per tutelarsi legalmente) si diffondono
in vaghe indicazioni che si concludono con l’invito ad una visita
medica presso lo studio. A pagamento, presumo. Altri medici mettono
online interi siti dedicati alle patologie che curano, invitando
poi gli utenti a contattarli. I più avanzati mettono anche i loro
video su YouTube. Insomma, iniziative di nessun valore scientifico
e/o apertamente pubblicitarie. Invece di pensare a difficili
iniziative repressive, il mio amico potrebbe riflettere sul fatto
che, digitando “stitichezza” su Google (511.00 risultati) nei
primi 100 da me pazientemente consultati non c’è nemmeno un sito
informativo, correttamente impostato, del ministero della Salute,
di una Asl, di un ospedale pubblico, di una Regione.
Non c’è nessun contrasto dell’informazione buona che cerca di
scacciare quella cattiva. O meglio, le ditte che fanno i siti della
Asl non hanno usato correttamente i tag per far figurare le pagine
nei motori di ricerca. Forse nessuno glielo ha chiesto. Il mio
amico non sa nemmeno che potenziare l’ufficio stampa o l’Urp
serve a poco, quando un paziente o visitatore qualunque, con la
videocamera di un telefonino, può mettere su YouTube le magagne
della sua Asl, e quando il personale sanitario (non solo
l’ufficio stampa con i suoi funzionari zelanti) si trova davanti
le telecamere di “Striscia la notizia” o di “Presa diretta”
e nessuno gli ha insegnato come ci si comporta davanti a un
giornalista d’assalto. E non sa nemmeno che i serial televisivi
americani da “General Hospital” in poi sono una grande (ma
imprecisa) scuola popolare di come potrebbe essere, e non è, la
medicina. Ma l’amico mi abbraccia, mi saluta, si fa dare un mio
numero di cellulare che non userà, e scompare.