Lo smart working inizia a farsi strada nella PA: già 4210 dipendenti pubblici operano in telelavoro (800 in più in un anno), per lo più negli enti locali, e oggi il 5% delle pubbliche amministrazioni ha progetti strutturati di lavoro agile, un altro 4% lo pratica informalmente e quasi il 48% è interessata a una prossima introduzione. Sono i risultati dell’indagine sul lavoro pubblico e sugli effetti della riforma Madia, presentata questa mattina da FPA, società del gruppo Digital360, al convegno di apertura di Forum PA 2018, che si è aperto con la lectio magistralis di Stephen Goldsmith. Il Direttore del Programma di innovazione delle Amministrazioni presso la Harvard University Kennedy School of Government ha presentato la sua visione di “governo con la rete”, per una PA che deve aprirsi alla collaborazione con soggetti pubblici, privati e non-profit.
Si notano i primi effetti della linea dura sull’assenteismo, con una riduzione del 10,6% in un anno dei giorni di malattia e la diminuzione dei certificati medici (da 7 ogni 10 lavoratori del 2016 ai 6 certificati ogni 10 del 2017) soprattutto per il calo delle assenze brevi di un giorno, mentre si riduce di 4 punti percentuali la percentuale di lavoratori con almeno un giorno di malattia sul totale (dal 33% del 2016 al 29% del 2017). Sono già 40 i licenziamenti disciplinari avviati ai sensi della nuova norma introdotta con la riforma Madia, considerando che nel 2017 complessivamente nella PA sono stati licenziate 324 persone, il 62,8% in più rispetto 5 anni prima, di cui quasi metà per assenze.
Ma al momento nei dati del pubblico impiego non c’è alcuna rivoluzione. I dipendenti pubblici italiani sono 3,2 milioni, ancora in calo perché gli effetti dei piani di assunzione inizieranno a dispiegare i loro effetti solo nel 2018, con 246 mila persone uscite e non rimpiazzate dal 2008. Oggi la PA italiana può contare su 70% in meno di dipendenti rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra e il 60% della Francia. Pochi i volti nuovi, con appena 64 mila “nuovi dipendenti pubblici”, mentre aumentano i precari, che raggiungono quota 314mila, 25.000 in più rispetto al 2015, su cui ancora non si vedono gli effetti delle recenti politiche di stabilizzazione.
Un personale vecchio – età media di 50,34 anni che cresce di 6 mesi ogni anno, oltre 450.000 over 60 -, per il 62% costituito da diplomati, che fa sempre meno formazione (6/7 ore di media ogni anno). Lo stipendio medio è di 34.500 euro, sostanzialmente lo stesso dal 2009, con molte differenze tra i comparti, dai 138 mila euro della magistratura ai 28,4 mila del personale della scuola. Ma la spesa per la collettività è sempre di meno: ammonta a 160 miliardi di euro il costo per tutto il personale della PA, 10 miliardi in meno rispetto al 2009, un risparmio che porta l’Italia in linea con i principali Paesi europei. E ciascun cittadino italiano spende per il lavoro dei dipendenti pubblici 2.632 euro l’anno.
“La PA italiana si trova oggi sull’orlo del cambiamento possibile – commenta Carlo Mochi Sismondi , presidente di FPA – L’ultima stagione di riforma ha posto le basi per ridefinire i tratti e il profilo della PA, ma al momento, almeno stando alle ultime rilevazioni disponibili, non si sono modificati i dati strutturali relativi al pubblico impiego: il numero dei dipendenti e la spesa per redditi di lavoro si riducono, anche se meno velocemente del passato, sono stazionarie le condizioni di invecchiamento, i divari retributivi le condizioni di precariato di migliaia di persone che lavorano nel pubblico. È ancora irrisorio l’investimento in formazione, pochissime sono le “facce nuove” e permangono gli interrogativi sulla tenuta strutturale del sistema del pubblico impiego alle sfide del cambiamento e alla crescita dei fabbisogni di cittadinanza e imprese”.
“All’Italia serve oggi una PA diversa in grado di ‘governare con la rete’, ossia uscire dal palazzo e interagire con i diversi soggetti attraverso una governance collaborativa – prosegue Moschi Sismondi. – Servono profili diversi, in grado di adattarsi al cambiamento e alla trasformazione digitale in atto. Ora tocca al futuro Governo proseguire la strada della riforma, non con nuove leggi, ma applicando quelle che ci sono e senza perdere quanto di buono è stato impostato in questi anni. Non ci serve una nuova riforma da chiamare con il nome di un nuovo ministro, ma cura, accompagnamento e formazione. Non è più tempo di norme: comincia il tempo dei manuali e delle cassette degli attrezzi”.