2,6 miliardi di euro. Tanto vale la partita della terminazione
mobile in Italia. L’Agcom licenzierà nelle prossime settimane la
riduzione delle terminazioni mobili. Una decisione che preoccupa e
non poco le telco mobili. La proposta dell’Authority relativa al
quadriennio 2012-2015 prevede un “glide path” che porterà le
tariffe a 4,1 centesimi a gennaio 2012 per Telecom Italia, Vodafone
e Wind (5,1 per 3 Italia) fino agli 0,98 centesimi fissati per
gennaio 2015. Nel mezzo la riduzione più incisiva per gli
operatori mobili: a gennaio 2013 le tariffe scenderanno a 2,6
centesimi (3,4 per 3 Italia) verso il raggiungimento della
simmetria fissata al 2014, anno in cui per tutti gli operatori la
tariffa sarà di 1,6 centesimi.
Su tale tema pubblichiamo una riflessione di Bianca Maria
Martinelli, Direttore Affari Pubblici e Legali e
Consigliere di amministrazione di Vodafone Italia
La proposta di riduzione delle terminazioni mobili rischia di
compromettere il percorso virtuoso del settore mobile in Italia che
grazie all’accesa competizione fra gli operatori, è leader in
Europa per i prezzi più bassi ai clienti e per l’innovazione
nelle reti e nei servizi, come ribadito dall’Autorità per le
Garanzie nelle Comunicazioni e dalle statistiche europee.
Perchè rivedere modalità e tempistiche proposte a maggio 2011? Da
allora vi è stato un sostanziale peggioramento delle condizioni
complessive afferenti al settore mobile e di questo è oggi
necessario tenerne conto. La stessa Autorità peraltro, molto
saggiamente, si era proposta di adottare la decisione finale sulle
terminazioni mobili a valle delle conclusione dell’asta frequenze
LTE al fine di poter valutare compiutamente gli impatti
complessivi, inclusi quelli derivanti dall’asta, sul settore
mobile.
In primo luogo l’’investimento per l’asta è stato superiore
alle aspettative, sia per l’aumento dei valori di base
dell’asta (aumentati da 2,4 mld a 3.1 mld), che per la stessa
dinamica con cui si è svolta, che è stata molto competitiva.
L’introito per lo Stato è stato di circa 4 miliardi di euro e
ciascun operatore mobile ha investito circa 1.2 miliardi, ad
eccezione di H3G il cui esborso è stato di circa 300 milioni di
euro, per aggiudicarsi una dotazione frequenziale che possa
garantire uno sviluppo adeguato dei servizi di quarta
generazione.
L’acquisizione delle frequenze è solo il primo passo in quanto
gli operatori mobili, che hanno acquisito frequenze in banda 800
MHz, dovranno garantire altrettanti investimenti per realizzare
nuove reti wireless 4G ed adempiere agli obblighi di copertura che
impongono di colmare il digital divide. Sono le reti mobili che
garantiranno l’accesso ad Internet con reti di nuova generazione
a tutti i cittadini ovunque si trovino, anche quindi in quelle
località dove i ritorni sull’investimento sono assai
incerti.
Questo impegno che Vodafone, Telecom Italia e Wind hanno assunto si
concretizzerà peraltro in un contesto più sfavorevole ed oneroso
rispetto agli altri Paesi europei, essendovi in Italia limiti
elettromagnetici e procedure autorizzative per la realizzazione di
nuovi impianti che non hanno paragoni in Europa.
Si sarebbe potuto parzialmente compensare questo svantaggio, se si
fosse concretizzata la proposta di ri-destinare una parte del
surplus degli introiti d’asta al settore mobile che lo ha
generato ma, allo stato attuale, anche tale misura – proposta per
agevolare la realizzazione di collegamenti in fibra per gli
impianti – sembra destinata a non realizzarsi.
In secondo luogo dobbiamo oggi riconsiderare il contesto economico
e di business nel quale si opera, ulteriormente deterioratosi a
partire dall’estate: ricavi dei servizi mobili in contrazione del
2-3 per cento l’anno, un forte peggioramento dei consumi ed una
accresciuta instabilità economica che si è già riflessa sul
peggioramento del rating finanziario di alcuni operatori.
L’insieme di questi elementi imporrebbe di rivedere la proposta
in discussione ripristinando, in primo luogo, la decisione ancora
oggi vigente, assunta nel 2008, che già fissava a luglio 2012 una
riduzione a 4,5 centesimi (dagli attuali 5,3) uguale per tutti gli
operatori. Modificare tale previsione, sulla quale gli operatori
hanno allocato le risorse e pianificato gli investimenti, imponendo
due riduzioni consecutive a distanza di 6 mesi (luglio 2011 e
gennaio 2012) appare insostenibile.
La tesi, apparsa di recente sulla stampa, per cui le decurtazioni
delle tariffe di terminazione consentirebbero di abbassare i prezzi
delle chiamate fisso-mobili per i loro clienti, anche se possibile
in linea teorica, non ha trovato fondamento nell’esperienza
passata.
Dal 2005 al 2010 infatti, nonostante il dimezzamento delle tariffe
di terminazione, scese del 47% abbiamo assistito ad un calo dei
prezzi fisso-mobile al pubblico di appena l’8%. E da luglio 2011
ad oggi, l’abbattimento del 20% delle tariffe di terminazione,
non si è tradotto in alcuna riduzione per i clienti finali.
Dunque la correlazione diretta fra l’abbattimento delle tariffe
di terminazione e l’abbassamento delle tariffe del fisso per i
clienti non è certa, in quanto – non essendovi alcun obbligo
regolatorio di ribaltamento diretto (revocato anche per Telecom
Italia nel 2010) – resta nella facoltà degli operatori fissi di
tradurla in un beneficio per i clienti o in un miglioramento della
propria profittabilità.
In conclusione, la strada è quella di “una riduzione
progressiva” delle terminazioni mobili, con una incisività più
graduale anno su anno. È l’unico modo per non compromettere il
ciclo virtuoso degli investimenti della telefonia mobile che deve
proseguire per garantire la transizione dalla banda larga alla
banda ultralarga mobile in tutto il Paese, con forti riduzioni dei
prezzi ai clienti grazie alle dinamiche concorrenziali nel quale si
realizza.