Google non ha ancora aderito allo standard tecnologico di Iab Europe sull’advertising che garantisce la compliance al Gdpr e mette nei guai i player della pubblicità digitale. L’accusa arriva da alcuni operatori del settore che sottolineano che Big G ha rimandato ad agosto l’ingresso nel consorzio europeo che ha riunito centinaia di società che sviluppano tecnologie per l’advertising digitale e che ha messo in condivisione un sofware per la verifica automatizzata del consenso dell’utente al marketing personalizzato. Google ha adottato per ora una soluzione temporanea che esporrebbe molti player della pubblicità digitale al rischio di infrazione e multa.
Al centro della questione c’è il prodotto di Google DoubleClick Bid Manager (DBM), che i grandi inserzionisti usano per comprare ads sulle piattaforme di compra-vendita delle pubblicità digitali. Molti siti presentano ai visitatori europei delle finestre pop-up con cui chiedono il consenso a mandare i loro dati identificativi verso DBM e gli exchange di ads, ma DBM al momento non può accettare le indicazioni fornite dagli utenti perché non ha aderito ancora allo standard comune.
Le piattaforme maggiori e più attrezzate, come AppNexus e Rubicon Project, hanno assicurato di aver creato dei sistemi per aggirare l’ostacolo e offrire pubblicità su DBM solo quando gli utenti hanno dato il consenso alle ads mirate, ma altre piattaforme potrebbero non essere in grado di fare altrettanto.
“Una volta che Google avrà adottato la piattaforma comune per il consenso, la confusione attuale dovrebbe risolversi”, ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters Walter Knapp, chief executive della società del software per ads Sovrn Holdings Inc. Google a sua volta ha garantito che sta lavorando con i suoi partner per adeguarsi al Gdpr.
Nel frattempo, però, le aziende delle ads digitali che hanno aderito al framework di Iab Europe accusano Google di aver vanificato i loro sforzi per la compliance. I soggetti che più rischiano la multa sono le aziende che possiedono siti web e app mobili finanziati tramite le ads e che, visto che per ora non lo fa Google con DBM, devono autonomamente controllare che ci sia da parte dei consumatori europei il consenso alle ads mirate.
Nell’industria della compravendita automatizzata delle ads digitali sono presenti molti attori, dai buyer di spazi pubblicitari ai siti che li mostrano. Ogni anello della catena deve essere compliant. A inizio giugno il Wall Street Journal riportava che lo strumento di Google DoubleClick Bid Manager, che i buyer usano per acquistare pubblicità mirate online, stava indirizzando un numero crescente di risorse stanziate dagli inserzionisti verso il mercato interno di Google (dove si effettua compra-vendita sull’ad inventory di Big G) a scapito di altri mercati di ads digitali dove Google diceva di non riuscire a verificare che ogni individuo cui vengono mostrate le pubblicità mirate avessero fornito il consenso. In questi casi, Big G re-indirizzava gli investimenti verso il proprio inventory. Google aveva anche fatto sapere che stava usando soluzioni ad interim per evitare eccessivi squilibri, per esempio distribuendo ads non personalizzate sui siti di chi non aveva un consenso esplicito degli utenti, e aveva garantito che sarebbe presto entrata nel sistema esterno di Iab Europe, dove i siti Internet possono trasmettere i moduli degli utenti online con il loro consenso in conformità al Gdpr. E’ il ritardo di questo ingresso nel consorzio unico europeo che ora non piace ai player della pubblicità digitale.
“I dati sull’identità dei visitatori di un sito possono passare attraverso decine di società del software per ads digitali prima che una pubblicità venga caricata e servita all’utente finale e ognuna di queste società deve avere il consenso dell’utente, in base al Gdpr”, spiegano gli esperti sentiti da Reuters. Che osservano: “Le decisioni di Google, che controlla la fetta più ampia del mercato dell’advertising online, impattano tutta l’industria. Le autorità dei paesi Ue hanno detto che non stanno ancora verificando i consensi alle ads online, ma potrebbe essere solo questione di tempo prima che scovino i problemi di compliance”.