Non si abbassano i riflettori dell’Antitrust italiana sul fenomeno dell’advertising “occulto” attraverso i social media. A un anno esatto dalla prima azione nei confronti dei “big” influencer – utenti da milioni di follower – chiamati a rendere esplicito il loro farsi “portabandiera” di brand e di indentificare dunque con appositi tag il loro legame di sponsorship con le aziende in questione, l’Autorità ha deciso di stringere il mirino anche su utenti meno noti e con un numero di seguaci non elevatissimo eppur considerati in grado di influenzare il grande pubblico della Rete.
L’Autorità ricorda i criteri generali di comportamento e chiede che sia sempre chiaramente riconoscibile la finalità promozionale in relazione ai contenuti diffusi mediante social media: #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento, o, nel caso di fornitura del bene anche a titolo gratuito, #prodottofornitoda gli hashtag indicati dall’Authority per identificare i contenuti “brandizzati” e garantire dunque trasparenza informativa all’utenza finale. “In ragione dell’ampiezza e del proliferare dei contenuti sui social network, l’Autorità continuerà a monitorare il fenomeno adottando le misure valutate di volta in volta più opportune per contrastarlo”, si legge in una nota dell’Antitrust. “Tale fenomeno è, infatti, sempre più diffuso e rappresenta una modalità consolidata di comunicazione, consistente nella diffusione su blog, vlog e social network (come Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, Snapchat, Myspace) di foto, video e commenti da parte di blogger e influencer che mostrano sostegno o approvazione (endorsement) per determinati brand, generando un effetto pubblicitario. Tale forma di comunicazione, inizialmente utilizzata da personaggi di una certa notorietà, si sta diffondendo presso un numero considerevole di utenti dei social network anche con un numero di follower non particolarmente elevato”.
Nell’intervento del 2017 l’Autorità aveva anche sollecitato tutti gli operatori coinvolti a vario titolo nel fenomeno a conformarsi alle prescrizioni del Codice del Consumo, “fornendo adeguate indicazioni atte a rivelare la reale natura del messaggio, laddove esso derivi da un rapporto di committenza e abbia una finalità commerciale, ancorché basato sulla fornitura gratuita di prodotti”, ricorda la nota dell’Antitrust.
La risposta al primo intervento è stata positiva, ci tiene a sottolineare l’Authority: “Gli influencer e le imprese coinvolte hanno modificato le proprie condotte in senso più trasparente per i consumatori: si è osservato un maggior utilizzo di hashtag e riferimenti idonei a rivelare la natura pubblicitaria delle comunicazioni. Inoltre, l’Autorità ha rilevato un’evoluzione degli strumenti disponibili sui social network e delle modalità con le quali imprese e influencer possono raggiungere i consumatori. In particolare, le piattaforme di social network mettono a disposizione degli influencer specifici strumenti per rendere manifesto agli utenti il rapporto di sponsorizzazione. I titolari dei brand, a loro volta, possono utilizzare strumenti di notifica e controllo dei richiami ai propri marchi”.
Per dare qualche numero utile a comprendere la portata del fenomeno nei giorni scorsi Buzzoole, influencer marketing solution provider in grado di connettere i brand ai content creator attraverso l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, aveva pubblicato i risultati di un’analisi sui due hashtag più utilizzati in questo tipo di attività, ossia #ad e #adv, dal 1° febbraio al 30 giugno 2018 su Instagram, Twitter e Facebook. Ne è emerso che gli “hashtag della trasparenza” sono stati 55.000, generati da 15.200 account, e hanno suscitato 42 milioni di interazioni sui social media. Il luogo principale in cui vengono condivisi i messaggi promozionali è Instagram, dove è stato prodotto il 50% dei post totali. Segue Twitter con il 39% e Facebook con l’11%. Quantoall’engagement generato dai post si scopre che il 98% di tutte le interazioni legate alle campagne analizzate avviene su Instagram.