Memorizzare i dati in pochi "atomi". E’ la sfida vinta da Ibm i cui ricercatori, esperti in nanotecnologie, sono riusciti a memorizzare informazioni in appena 12 atomi magnetici, uno spazio significativamente inferiore alle unità disco di oggi, che utilizzano circa un milione di atomi per memorizzare un singolo bit di informazioni. Una volta sviluppato pienamente, questo risultato potrebbe condurre a una classe del tutto nuova di memoria, per dispositivi che vanno dai server aziendali ai telefoni cellulari, ai computer e altro ancora. La ricerca è stata pubblicata oggi nella rivista Science.
Adottando un approccio nuovo e partendo dalla più piccola unità di storage dei dati – l’atomo – i ricercatori hanno dimostrato uno storage magnetico almeno 100 volte più denso degli hard disk e dei chip di memoria a stato solido di oggi. Le future applicazioni delle nanostrutture, che vengono costruite un atomo alla volta e che applicano una forma non convenzionale di magnetismo, denominata antiferromagnetismo, potrebbero consentire a persone e aziende di memorizzare 100 volte più informazioni nello stesso spazio.
Se da un lato la tecnologia dei transistor al silicio è diventata più economica, più densa e più efficiente, dall’altro le limitazioni fisiche indicano l’impossibilità di continuare a proseguire su un percorso di scalabilità convenzionale. Servono approcci alternativi per sostenere il rapido ritmo dell’innovazione informatica. La capacità di lavorare a livello atomico, di creare qualcosa a partire "dal basso" potrebbe portare alla realizzazione di dispositivi più piccoli, più veloci e più efficienti dal punto di vista energetico.
“L’industria dei chip continuerà a perseguire la scalabilità incrementale nella tecnologia dei semiconduttori ma, man mano che i componenti continueranno a restringersi, la marcia proseguirà verso l’inevitabile punto di arrivo: l’atomo – spiega Andreas Heinrich, responsabile di questo progetto nel centro di Ricerca Ibm di Almaden, in California – Noi adottiamo l’approccio opposto e partiamo dall’unità più piccola, i singoli atomi, per costruire dispositivi di storage e di calcolo un atomo alla volta”.
L’informazione più elementare che un computer comprende è un bit. Così come una luce che può essere accesa o spenta, un bit può avere solo uno dei due valori seguenti: "1" o "0". Fino ad ora, non si sapeva quanti atomi sarebbero serviti per memorizzare in modo affidabile con una tecnologia magnetica un bit di dati.
Con proprietà simili a quelle dei magneti su un frigorifero, i ferromagneti usano un’interazione magnetica tra i suoi atomi costituenti che allineano tutti i loro spin – l’origine del magnetismo degli atomi – in un’unica direzione. I ferromagneti hanno funzionato bene per lo storage dei dati magnetico, ma un importante ostacolo alla miniaturizzazione fino a dimensioni atomiche è rappresentato dall’interazione dei bit adiacenti tra loro. La magnetizzazione di un bit magnetico può influire pesantemente su quella del bit vicino, in conseguenza del suo campo magnetico. Sfruttare i bit magnetici alla scala atomica, per conservare informazioni o eseguire operazioni di calcolo utili, richiede un controllo preciso delle interazioni tra i bit.
I ricercatori Ibm hanno utilizzato un microscopio a effetto tunnel (Stm) per progettare a livello atomico un raggruppamento di dodici atomi accoppiati in modo antiferromagnetico, che hanno memorizzato un bit di dati per ore a basse temperature. Sfruttando le direzioni alternate intrinseche degli spin magnetici, essi hanno dimostrato la possibilità di impacchettare bit magnetici adiacenti in modo molto più ravvicinato di quanto non fosse possibile in precedenza. Ciò ha aumentato enormemente la densità di storage magnetico, senza alterare lo stato dei bit adiacenti.