La solida fiducia degli investitori sul rally dei titoli tech potrebbe cominciare a vacillare per effetto della guerra commerciale Usa-Cina, dei tassi Usa in aumento e dell’intervento più severo dei regolatori di mercato: lo dicono gli analisti sentiti dal Financial Times. L’outlook resta positivo ma nel lungo termine qualche ombra potrebbe addensarsi sul rendimento delle azioni dei grandi gruppi tecnologici, gli americani Faang (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google) e la cinese Tencent.
Proprio le prestazioni di Tencent hanno cominciato a suonare un primo campanello d’allarme dopo le pesanti perdite seguite al recente mercoledì nero delle Borse mondiali (-40% lo scorso 10 ottobre). L’azienda cinese ha segnato il record negativo di 10 sedute negative consecutive e ha lasciato sul tappeto 252 miliardi di dollari di valore di mercato da gennaio a oggi. Protagonista di un eccezionale rally sui listini dalla quotazione del 2004 a gennaio 2018, quest’anno Tencent ha perso colpi a causa della debolezza dello yuan, del rallentamento dell’economia cinese, dei dazi commerciali imposti dagli Stati Uniti e, non meno importante, della pressione regolatoria di Pechino, che ha alzato la vigilanza sui settore dei giochi online e dei pagamenti.
La parabola del colosso Tencent ha trascinato tutto l’indice MSCI Emerging Markets (large e mid cap di 24 paesi emergenti, di cui il primo è la Cina), che quest’anno segna – finora – una flessione del 16%.
“Non si può parlare di fine del ruolo guida dalle azioni dei gruppi hitech, ma l’andamento del settore non è più scontato come sei mesi fa“, commentano da Natixis Investment Managers.
Un sondaggio condotto da Bank of America Merrill Lynch rileva che i fund manager puntano ancora in prevalenza sui Faang, ma qualche certezza vacilla. All’inizio del mese Greenlight Capital, hedge fund gestito da David Einhorn, ha venduto tutte le azioni Apple in portafoglio, perché ritiene che le prospettive di guadagno non siano più così allettanti con una valutazione a 17 volte i forward earnings (che molti analisti considerano un multiplo “modesto”, riporta Forbes).
Per altri gestori questo è il momento per fare un distinguo tra i tanti titoli hitech: non tutti hanno le stesse prospettive i guadagno, osserva Kevin Landis, chief investment officer di Firsthand Capital Management. A incidere non sono solo le variazioni sui tassi di interesse nel lungo termine (che hanno un impatto sui flussi di cassa delle imprese), ma gli umori fluttanti degli investitori. E’ il caso del titolo di Facebook, continua Landis, che tra scandalo Cambridge Analytica, pressione regolatoria e warning sul rallentamento degli utili, è in calo del 13% quest’anno. Sul versante opposto, Amazon segna finora un +50% e Netflix +73%.
Netflix stessa, però, dimostra quanto possa essere volubile il mercato e quanti siano i fattori in gioco: criticata da alcuni analisti per un modello di business non sostenibile troppo esposto alla concorrenza ed esaltata da altri che prefigurano un boom del valore del titolo, l’azienda del video streaming ha visto balzare le quotazioni dopo la brillante trimestrale presentata a metà mese, ma ha chiuso la scorsa settimana in flessione. Ora ha annunciato un nuovo round di bond da 2 miliardi di dollari per finanziare i continui e ingenti investimenti in film e serie Tv per restare competitiva.
Alla fine saranno i risultati delle trimestrali e in particolare l’andamento degli utili delle tech companies a fare la differenza, secondo David Donabedian, chief investment officer di Cibc private wealth management. “I risultati devono tenere. Se quelli deludenti saranno più numerosi di quelli brillanti ci sarà da aver paura”. Il quintetto dei Faang rappresenta il 10% della capitalizzazione di mercato dell’S&P 500 e tutte le tech companies il 30%, secondo Credit Suisse.
Wells Fargo resta ottimista: c’è ancora crescita nel futuro dei Faang e dei loro investitori.
La prova del nove arriverà tra pochi giorni: questa settimana pubblicheranno le trimestrali Alphabet (capogruppo di Google) e Amazon; la settimana successiva sarà la volta di Apple e Facebook