Ict e crisi: parlo sulla scorta delle riflessioni accumulate nel corso degli ultimi anni, anche grazie all’esperienza maturata nell’attività di direzione dell’Unità di Gestione delle Vertenze (Ugv) della Struttura per le crisi d’impresa del ministero dello Sviluppo economico. L’Ugv ha per compito la gestione di tavoli di confronto che interessano, tra le altre, molte imprese della complessa filiera dell’Ict.
Quindi, le mie considerazioni, lungi dall’essere esaustive sono certamente il frutto di una “osservazione” ampia della realtà che ci interessa.
Nel corso degli ultimi anni il quadro va degradandosi sempre più. Le eccellenze della microelettronica sono isolate. Il manifatturiero dell’elettronica sopravvive solo in alcune aziende capaci di crearsi una nicchia di elevata tecnologia. Il grosso del segmento è in gravissima difficoltà, per molte aziende il futuro oscilla tra la chiusura e il “rifugio” in qualche procedura concorsuale.
Poco diverso è il quadro dei grandi sistemisti di Tlc. Il loro manifatturiero, dopo il grande outplacement degli anni ‘90, è rimasto del tutto marginale: Alcatel ha un accordo globale con Flextronic e le ultime produzioni italiane sono del tutto marginali, per Nsn la dismissione definitiva è stata annunciata poche settimane fa e anche per Ericsson si prospetta una soluzione analoga a quella di Alcatel, con probabili conseguenze su quel che ancora resta di manifatturiero. Italtel da tempo ha dismesso la produzione di apparati hardware (hw).
Il guaio è che, dopo le attività manifatturiere, stanno riducendosi anche le attività di R&D e di sviluppo prodotto e sistemi. La riorganizzazione mondiale dei grandi gruppi sta relegando il nostro Paese ad un ruolo assolutamente marginale e quel poco di italiano che ancora esiste (Italtel), naviga in acque perigliose. Se dovessimo allargare l’orizzonte anche ai cosiddetti installatori-sistemisti (Sielte e Sirti per citare i maggiori) le conclusioni purtroppo sarebbero le medesime. Ciò a cui si assiste è una crescente marginalizzazione dell’intera filiera. A tutto questo si sta contrapponendo ben poco. Sicuramente non gli investimenti dei gestori e nemmeno quelli pubblici, che pure si fanno e tutto sommato non sono poca cosa. Il guaio è che, anche di fronte ad una significativa ripresa degli investimenti, non si assisterebbe al rilancio delle aziende perché ciò che sta accadendo è la ri-dislocazione mondiale dei fattori strategici da cui l’Italia è per gran parte esclusa.
Allo stesso tempo, a questo trend, non si stanno contrapponendo i gruppi dirigenti che dimostrano una crescente marginalizzazione nella formulazione degli indirizzi strategici. Nel board delle principali imprese multinazionali, i manager italiani sono assenti e le eccezioni confermano solo la regola; spesso i ceo delle unità italiane hanno compiti puramente di natura commerciale per aree e prodotti limitati e quasi mai sono key account di grandi clienti. Infine, manca una strategia-Paese che cerchi di ricostruire obiettivi e alleanze necessarie per raggiungerli.
Quale possibile conclusione? Ho detto all’inizio che la mia osservazione della filiera è certamente parziale e attenta ai punti di crisi più che a quelli di crescita e sviluppo.
Detto ciò, non ho dubbi che occorra mettere mano rapidamente ad una iniziativa “politica” se ancora si vuole che l’Italia non esca definitivamente dal novero delle nazioni con una industria delle Tlc degna di questo nome. In questo caso “politica” non significa “pubblica”, ma sta a sottolineare che gli attori sulla scena non sanno più quale parte recitare, sono smarriti e in qualche caso sono diventati afasici. C’è necessità di una iniziativa guidata da chi ha le maggiori responsabilità di governo del Paese, per attivare le competenze e la voglia di fare che ancora ci sono. Gli strumenti e le risorse economiche non mancano per dare corpo al progetto.
*dirigente ministero per lo Sviluppo economico