Ancora prima della Brexit, la Gran Bretagna si sgancia dall’Unione europea procedendo autonomamente alla creazione di una tassa sui servizi delle web company. Il “balzello” scatterà dal 2020 e si prevede un gettito da 400 milioni di sterline l’anno (poco meno di 450 milioni di euro ai cambi attuali). L’annuncio è del ministro delle Finanze Philip Hammond durante la presentazione del progetto di bilancio in Parlamento.
L’ipotesi di creare una tassazione di questo tipo è dibattuta da tempo nell’Ue e anche a livello di area Ocse. “Non possiamo parlare per sempre – ha detto Hammond – introdurremo una tassa sui servizi digitali relativamente ai ricavi realizzati nel Regno Unito, sarà pagata solo dalle società in utile” e con un giro d’affari congruo. “Entrerà in vigore dal 2020 – ha precisato – e dovrebbe raccogliere 400 milioni di sterline l’anno”.
“Il modo migliore di tassare le aziende multinazionali è attraverso accordi internazionali, ma abbiamo esaurito il tempo ed è ora di superare questa fase di stallo“, ha indicato Hammond.
Il ministro ha già in passato sottolineato l’urgenza della web tax – o “Google tax”, come la definiscono i media anglosassoni facendo riferimento al target numero uno dell’imposizione fiscale, il colosso della ricerca e della pubblicità digitale con sede a Mountain View. La scure su Google & co. non si fermerà tuttavia a eventuali nuove imposizioni fiscali: Hammond ha indicato che la Gran Bretagna sta valutando dei modi per aggiornare le sue norme antitrust in reazione al potere dominante assunto da alcune grandi aziende. “L’espansione dei colossi hitech e delle piattaforme digitali porta senz’altro benefici ai consumatori ma solleva questioni sulla possibile concentrazione di potere in un gruppo ristretto di aziende della tecnologia”, secondo Hammond.
Hammond ha nominato Jason Furman, ex chief economist del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, come direttore di un progetto di revisione del quadro normativo del Regno Unito sulla concorrenza. L’intenzione è di ammodernare l’impianto in modo da allinearlo alle nuove sfide dell’era digitale, anche se la Confederation of British Industry, la “Confindustria britannica”, ha invitato il governo a evitare misure fiscali che danneggiano la competitività globale della Gran Bretagna.
Nell’Unione europea la Web tax è fortemente sostenuta da Francia, Italia e Austria. I tre paesi vorrebbero adottare entro fine anno la proposta avanzata dalla Commissione europea: prelievo del 3% sul fatturato dei gruppi dell’economia digitale che fatturano nell’Ue più di 50 milioni di euro l’anno. La soluzione europea verrebbe adottata temporaneamente, mentre proseguono i negoziati su scala Ocse per arrivare a una formula condivisa anche al di fuori dell’Ue. La presidenza austriaca è in pressing sui ministri delle Finanze Ue e ha chiesto di non cedere alla “tentazione di agire unilateralmente”: undici paesi europei sarebbero pronti a procedere con la loro web tax nazionale.
Le trattative in Europa si sono scontrate con l’opposizione di alcuni paesi Ue come Lussemburgo e Irlanda, che vogliono aspettare la soluzione internazionale, e con l’ostracismo della Germania, che vuole evitare la “demonizzazione” di Google & co. Berlino insiste tuttavia nel garantire che la decisione sulla Web tax ci sarà e anche Francia e Austria hanno parlato di “progressi”.