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Big data per i beni culturali, la sfida si vince puntando sull’AI

L’intelligenza artificiale gioca un ruolo cruciale nell’elaborazione di efficaci strategie data driven per la tutela e la promozione del patrimonio. Il Piemonte in pole

Pubblicato il 31 Ott 2018

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Ogni 60 secondi nel mondo inviamo oltre 200 milioni di e-mail, pubblichiamo su Facebook oltre 3 milioni di post, scriviamo 342.000 tweet e facciamo oltre 3 milioni di ricerche su Google. Si calcola che entro il 2020 saranno generati 44 Zettabyte di dati on line (fonte: Osservatorio Big data – Politecnico Milano – 2017). Un’enorme quantità di dati eterogenei, in continua crescita, analizzabili in tempo reale, che provengono dalle interazioni sui social network, dai click su un sito, dai sensori intelligenti, o dal geoposizionamento dei nostri smartphone.

Stiamo vivendo nell’era della data economy nella quale l’intelligenza artificiale gioca un ruolo chiave. Gli algoritmi oggi ci aiutano a capire quali sono le tendenze profonde che si nascondono dentro i dati, anche dal punto di vista socio-economico. L’AI  fornisce una prospettiva completamente nuova che permette di estrarre evidenze anche dai dati statistici, un tempo considerati poco significativi. Si tratta di un’enorme potenza di calcolo, che permette, quando usata in modo sofisticato, di ottenere una lettura profonda dei fenomeni. Sollevando però importanti interrogativi dal punto di vista etico: chi possiede questo tipo di strumenti e di sapere può infatti influenzare in modo significativo la vita delle persone, la politica e la società.

La sfida dell’intelligenza artificiale è quindi quella di affiancarsi all’intelligenza umana per individuare percorsi dotati di senso tra le grandi masse di informazioni. Occorre ripensare l’organizzazione della cultura partendo dalla digitalizzazione dei grandi “giacimenti” esistenti, per generare nuove spinte creative, prospettive di lavoro, strutture istituzionali e pratiche di fruizione.

Si tratta, insomma, di uno scenario in continua evoluzione, in cui il Piemonte si sta muovendo strategicamente. Il Csi, per esempio, gestisce per conto della Regione 2.650.000 titoli librari, circa 5 milioni di pagine provenienti dai Giornali del Piemonte e dall’Archivio Storico della Stampa, 129.000 file multimediali tra immagini, fotografie e video, 70.000 oggetti digitali e 500.000 schede descrittive di beni museali e archivistici.

“I big data rappresentano una grande sfida per il mondo culturale, nonché una risorsa il cui sviluppo dovrà essere il frutto di una stretta collaborazione tra più ambiti, dall’informatica, all’ingegneria, all’archivistica – spiega Antonella Parigi, assessora alla cultura e al turismo della Regione Piemonte  – Come ente regionale siamo fortemente impegnati su questo tema, innanzitutto in sinergia con il Csi, per sviluppare strumenti che organizzino la grande mole di dati presenti sul territorio e le mettano a disposizione degli operatori ma anche degliamministratori pubblici locali per lo sviluppo delle politiche culturali, come peraltro già fatto con la piattaforma Mèmora”.

“ll Csi Piemonte lavora da sempre con i dati – evidenzia Pietro Pacini, dg del Csi Piemonte – Oggi puntiamo su advanced analytics, tecnologie big data e intelligenza artificiale per migliorare i servizi digitali per i cittadini e per rendere più efficiente la PA. Ma in questo momento di grandi cambiamenti anche noi abbiamo intrapreso un percorso di trasformazione, con un nuovo Piano Strategico che nei prossimi tre anni trasformerà profondamente la nostra capacità e il nostro modo di lavorare. Sta a tutti noi cogliere le opportunità che questo tempo ci offre”.

Per Giulio Lughi, presidente del Comitato tecnico Scientifico del Csi, “il rapporto fra dati e cultura è multiforme. “Innanzitutto i dati costituiscono uno strumento potente per valorizzare i giacimenti culturali esistenti, la cultura tradizionale. Ma c’è di più: ormai abbiamo bisogno di una vera e propria cultura dei dati, cioè la capacità di capire l’ecosistema informativo in tutta la sua complessità, Si parla di infoetica, di infoeconomia, ma anche di infoestetica: infatti sempre più prodotti artistici e culturali traggono ispirazione proprio dalla complessità dei dati”.

 

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