Una eBay del lavoro o una “human cloud”: così appare il lavoro nell’era della gig economy dove all’asta ci sono i lavoretti e il loro prezzo. L’Economist, in un commento a firma di Sarah O’Connor, osserva che il termine gig economy ci fa di solito pensare alle app come Uber e Deliveroo che mettono insieme domanda e offerta in un preciso settore produttivo, ma non è solo così che si declina l’occupazione nell’economia digitale: piattaforme come Upwork, Freelancer e Fiverr aggregano domanda e offerta in settori disparati e per compiti di ogni genere, da collaborazioni occasionali o saltuarie a prestazioni continuative.
Il sistema attrae gli investitori, che alla piattaforma più grande e più nota, Upwork, hanno dato fiducia: l’azienda della California si è quotata questo mese al Nasdaq e ha raggiunto una capitalizzazione di mercato di 1,9 miliardi di dollari.
La documentazione depositata alla Securities and Exchange Commission, l’ente regolatore di Borsa americano, prima dell’ingresso sui listini svela che solo il 20% delle entrate di Upwork deriva dalle commissioni dei freelance statunitensi, mentre il 30% del revenue è generato dai lavoratori autonomi in India e nelle Filippine; il rimanente 50% è fatturato nel “resto del mondo”.
Questi numeri bastano a chiarire le caratteristiche del business delle piattaforme dei lavoretti: il “cloud umano” dà opportunità enormi a persone di talento che vivono in paesi con sbocchi limitati, permettendo loro di partecipare al mercato del lavoro globale e cogliere i benefici della gig economy che, grazie a Internet, ha bruciato ogni frontiera. Un sondaggio condotto quest’anno dalla Oxford University su 679 lavoratori della gig economy nel Sud-est asiatico e nell’Africa sub-sahariana conferma che i freelance sono soddisfatti.
Ovviamente i freelance degli altri paesi non sono altrettanto contenti. Le offerte di lavoro alla platea mondiale abbassano i prezzi: l’asta dei lavoretti in stile eBay viene spesso vinta da concorrenti che accettano paghe che per un collaboratore occidentale sono irrisorie ma che in un altro paese sono più che gratificanti.
Lo human cloud è anche caratterizzato da una concorrenza intensificata, ha svelato lo studio dell’università di Oxford, e – dato forse ancora più rilevante – dall’assenza di ogni tutela del lavoratore che, agendo da autonomo su un mercato di bit e click dove chi offre il lavoro e chi lo esegue si trovano spesso in continenti diversi, è spinto a impegnarsi per molte ore senza pausa, anche di notte a causa dei fusi orari. I governi intanto cominciano a chiedersi quale sia il tasso di elusione fiscale in un sottobosco di lavoretti come traduzioni, inserimento di dati o piccole mansioni di marketing che si svolgono direttamente da casa.
I sindacati IG Metall in Germania e Unionen in Svezia si sono resi conto delle sfide dello human cloud e hanno creato un sito dove i freelance possono dare il voto alle condizioni di lavoro delle piattaforme online che usano. L’obiettivo è ottenere una maggiore visibilità sul fenomeno, dati trasparenti e tutele di base sul salario, le ore di riposo e la risoluzione delle dispute.