Il digitale esalterà il ruolo e il consumo dei beni culturali. Lo pensa Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, che in un’intervista al nuovo numero di “Le macchine volanti” (la rivista di tecnologia pubblicata da Tim), sostiene che quando “rigore e impegno” convivono anche sulle piattaforme digitali dedicate ai musei e alle mostre, “allora la tecnologia può essere utile ad arricchire l’esperienza o anche solo a renderla più divertente e accessibile”.
“La sfida, per chi si occupa di cultura, è sempre quella di riuscire a tradurre tematiche di grande complessità a chi, per età o formazione, si considera un profano – dice Schmidt -. Se la tecnologia, o iniziative come le mostre digitali, possono aiutare a vincere questa sfida ben venga. A patto che sia stata affrontata con grande impegno nella ricerca e nella riflessione”. Come cambia la fruizione dell’opera d’arte oggi che migliaia di copie digitali sono facilmente reperibili online? “Rispetto all’esperienza del museo, in cui si incontra prima un contesto e un luogo – cioè gli spazi fisici ed espositivi del museo stesso – e solo in seguito l’opera, l’incontro attraverso una ricerca su Google è decontestualizzato: si incontra prima l’opera e solo dopo, magari, si rintraccia il luogo in cui si trova o alcune informazioni su di essa – spiega Schmidt – Anche in quel caso, comunque, un contesto c’è ed è quello dello spazio digitale e virtuale fornito dal motore di ricerca”.
Lo spazio digitale, sottolinea il direttore degli Uffizi, è “comunque uno strumento ancora logocentrico, costruito intorno alla parola, al tag, e solo in un secondo momento in grado di condurci all’immagine”. Schmidt prevede che in futuro l’Intelligenza artificiale metterà in campo più strumenti e macchine di ricerca “in grado di operare dal visivo alla parola, oppure addirittura dal visivo al visivo”.
Secondo Schmidt a livello museale le tecnologie giocano “un ruolo fondamentale in più di un settore”. Ad esempio “si sono rivelate molto utili per la catalogazione delle opere, scopo per il quale sono state adottate molto presto, già negli anni ’80 e ’90: all’epoca si trattava di sistemi di archiviazione e catalogazione molto complessi che oggi, grazie all’apporto di linguaggi sempre più semplici e intuitivi, si sono invece molto snelliti”.
Le tecnologie, ricorda Schmidt, “sono poi fondamentali quando si tratta di tutela e conservazione del patrimonio. Per fare un esempio: oggi agli Uffizi abbiamo dei sensori che monitorano e raccolgono dati sulle condizioni – umidità, temperatura e così via – di tutte le teche in cui sono conservate le nostre opere. Nel caso qualche dato non torni, io stesso ricevo immediatamente una notifica sul mio smartphone. Inoltre, grazie a un progetto avviato con l’Università dell’Aquila, siamo oggi in grado di gestire meglio i flussi del pubblico, prevedendo attraverso i big data i tempi di attesa previsti per ogni spettatore, che, in questo modo, può evitare la coda”.
E grazie a un progetto di scansione di tutte le sculture, in collaborazione con l’Università dell’Indiana, agli Uffizi è stato “possibile raccogliere molti più dati su di esse di quanti ne avessimo mai raccolti”. La raccolta ha una triplice valenza, “ci permette di conoscere meglio l’opera – dice Schmidt – e anche di fornire, attraverso il nostro sito, moltissime informazioni su di essa, tanto a chi la studia di professione quanto al pubblico”.
Ma soprattutto “ha una preziosa funzione di tutela e conservazione. In caso di danneggiamento o distruzione, a causa magari di una calamità, saremo in grado di lasciare ai posteri sufficienti informazioni per ricostruirla esattamente com’era. In pratica si tratta di una sorta di back-up virtuale di opere che, a tutti gli effetti, sono patrimoni dell’umanità”.
Infine, ci sono le possibilità offerte da tecnologie come la realtà aumentata, grazie alla quale oggi è possibile sostituire le didascalie poste fisicamente di fianco all’opera con didascalie interamente digitali, visualizzabili sullo smartphone del visitatore: “E’ una tecnologia che stiamo vagliando anche agli Uffizi. Prima di costruire o cercare un’app adatta allo scopo vogliamo essere sicuri di avere raccolto il miglior set di dati possibile. Un set ricco e affidabile che non rischi di diventare obsoleto nel giro di pochi anni. Dopodiché, ci doteremo dell’app più idonea per visualizzarli”, conclude il direttore del museo.