Luigi Gubitosi è il nuovo amministratore delegato e direttore generale di Tim. È questo l’esito – come da pronostico dopo il passo indietro dell’ex manager Fca Alfredo Altavilla dato inizialmente per favorito – del cda Tim convocato in via straordinaria che ha visto presenti (fisicamente o collegati in conference) tutti e 15 i membri del board, ossia i 10 eletti dalla lista presentata da Elliott ed i 5 dalla lista Vivendi frutto dell’assemblea dello scorso 4 maggio. Gubitosi è stato eletto con i 9 voti Elliott, hanno votato contro i 5 rappresentanti di Vivendi e Gubitosi si è astenuto sul suo voto.
“Tim ha una grande storia ed un capitale umano da valorizzare per vincere la sfida del mercato, incrementare la generazione di cash flow per ridurre il debito ed esaminare con attenzione e velocità il progetto per la costituzione di una rete unica”: queste le prime parole di Gubitosi all’uscita del cda.
“Questo è un altro momento triste nella lunga storia di Telecom Italia” ha dichiarato l’Ad uscente Amos Genish dicendosi “molto dispiaciuto”. “Credo che questo cambio drammatico nella leadership e nella strategia stia chiaramente dividendo in due l’azienda”, ha aggiundo chiedendo “subito un’assemblea, entro fine anno, al massimo entro inizio 2019”. Riguardo al ruolo della politica “ha giocato un ruolo con successo. Credo che le decisioni degli ultimi giorni non siano nell’interesse degli investitori e non rappresentino la base degli investitori”.
Fatto l’amministratore delegato ora bisognerà decidere il destino di Tim e in particolare quello della rete che fa il paio con quello di migliaia di dipendenti: ne sarebbero a rischio fra i 15mila e i 25mila stando alle stime dei sindacati convocati al Mise il prossimo 22 novembre.
Riguardo allo scorporo della rete, alla vigilia del cda il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini si è detto favorevole ad un controllo pubblico: “Ci stiamo ragionando. L’importante è non cedere più infrastrutture strategiche per l’Italia a potenze o compratori stranieri. Dove passano dati sensibili italiani, io preferisco che ci sia controllo pubblico”.
Da parte sua il vicepresidente della Vigilanza Rai ed ex sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, nel commentare l’emendamento al decreto fiscale – che punta ad incentivare la fusione tra la rete Tim e Open Fiber e assegna maggiori poteri all’Agcom – pur non condividendo le perplessità sollevate da Nicola Zingaretti e Francesco Boccia puntualizza che “ci sono questioni da verificare e condizioni da porre ma la direzione mi sembra condivisibile e, credo di poter dire, coerente con il disegno perseguito dai nostri governi”. “Spero che nelle valutazioni del gruppo Pd delle prossime ore – ha aggiunto Giacomelli – si confermi la tesi che fare opposizione seria non è dire no a prescindere. In questo caso specifico un contributo positivo di idee ed osservazioni è quello che serve all’interesse generale del paese”.
Critico nei confronti dell’emendamento il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri il quale però si dice contrario a una duplicazione delle infrastrutture: “Fare due reti a banda larga che fanno le stesse cose è certamente uno spreco per l’Italia. Sarebbe come fare un’altra autostrada che collegasse Roma a Milano accanto a quella esistente. Ma il tema non può essere affrontato di nascosto con un emendamento al decreto fiscale”. Un’unica società della rete sarebbe dunque “ragionevole” , “ma rispettando in primo luogo la proprietà privata e stando attenti all’occupazione. Sulla rete Tim lavorano migliaia e migliaia di persone e interventi rozzi potrebbero causare effetti devastanti”. Secondo Gasparri vanno evitati “imposizioni dirigiste e tentativi di esproprio” e “non bisogna alterare le regole del mercato. Bisogna creare un confronto, promuovere intese e sinergie”.
In un post su Facebook il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi solleva dubbi di legittimità riguardo all’emendamento 5Stelle: “Siamo di fronte ad una proposta di emendamento che deve passare al vaglio del Parlamento. Sia valutata con grande attenzione l’ammissibilità, prevista per lunedì (19 novembre, ndr) in commissione Bilancio, di proposte emendative di profilo ordinamentale e palesemente estranee per materia”. “Assistiamo – ha aggiunto Anzaldi – a un’operazione opaca, nata da un blitz in un fine settimana con un emendamento a un decreto che non c’entra nulla con la materia telecomunicazioni”.
E addirittura l’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda quantifica i costi dello scorporo fra i 20 e i 35 miliardi. “Quello che vuole fare il governo è espropriare la rete a Tim che costerebbe tra i 20 e i 35 miliardi: è una roba folle, ammesso che si possa fare.
E sempre via Facebook si dichiara favorevole allo scorporo della rete il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni: “Fratelli d’Italia ha sempre sostenuto la proprietà pubblica di tutte le reti e le infrastrutture e la tutela dell’interesse nazionale nella loro gestione, pubblica o privata che sia. Bene lo scorporo della rete di telecomunicazione”.