La Cina punta il dito su un presunto cartello dei chip: un’inchiesta antitrust avviata dalla State administration for market regulation avrebbe portato alla luce “prove evidenti” di comportamento anti-concorrenziale da parte delle sudcoreane Samsung Electronics e Sk Hynix e dell’americana Micron Technology, i più grandi produttori mondiali di chip di memoria. Lo riporta il Financial Times, sottolineando che l’azione di Pechino potrebbe esacerbare le già tese relazioni commerciali internazionali e, in particolare, le tensioni tra Cina e Stati Uniti.
Gli inquirenti cinesi hanno reso noto che l’indagine, partita per verificare una presunta collusione sui prezzi tra le aziende del settore per massimizzare i profitti, ha compiuto passi in avanti, anche se per ora non è stata formulata alcuna accusa specifica e formale nei confronti di Samsung, Hynix e Micron.
“L’indagine antitrust su queste tre aziende sta andando avanti e ha prodotto risultati importanti e prove evidenti”, ha affermato il capo dell’agenzia statale sulla regolazione di mercato, Wu Zhenguo.
Samsung, Sk Hynix e Micron Technology controllano il 95% del mercato globale dei chip di memoria Dram (Dynamic random-access memory), impiegati nei computer e negli smartphone. Dopo essere sceso senza soste negli ultimi trent’anni, il prezzo-per-bit dei chip Dram è aumentato del 47% nel 2017, riferisce la società di ricerche americana IC Insights, ed è ancora in risalita quest’anno: Gartner prevede un incremento di quasi il 15% entro fine 2018.
L’inchiesta cinese è stata aperta dopo una class action intentata ad aprile negli Stati Uniti dallo studio legale Hagens Berman a tutela dei consumatori Usa che sostiene che le tre aziende si siano accordate per gonfiare i prezzi delle Dram. Nel 2005 Samsung e Hynix hanno pagato rispettivamente 300 milioni e 185 milioni di dollari per patteggiare in una causa mossa dal dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti che le accusava di fissare illecitamente i prezzi. Le due aziende, insieme ad altre sette, sono anche state multate dell’antitrust Ue nel 2010 per 331 milioni di euro per pratiche di price-fixing condotte tra il 1998 e il 2002.
L’aumento dei prezzi di chip di memoria degli ultimi due anni ha fortemente danneggiato le aziende dell’elettronica cinese, che puntano sul low-cost e lavorano su margini ridotti all’osso. Secondo Kim Young-woo, analista di Sk Securities, se fossero riconosciuti colpevoli di condotta anti-concorrenziale, i tre colossi dei semiconduttori rischiano multe fino a 2,5 miliardi di dollari ciascuno. Sarebbero costretti ad abbassare i prezzi dei chip di memoria e a costruire più stabiliment produttivi in Cina in joint venture con società locali con obbligo anche di trasferimento tecnologico, osserva l’esperto.
La Cina ha rappresentato l’anno scorso il 51% delle vendite di semiconduttori dell’americana Micron, il 40% delle vendite di Samsung e il 33% delle vendite di Hynix, secondo Sk Securities.
A luglio la Cina ha messo al bando sul proprio mercato interno, in via temporanea, 26 prodotti di Micron. Alla base di questa decisione, presa dal tribunale di Fuzhou, nel Sud Est del Paese, c’è una “guerra dei brevetti” con alcuni produttori locali, Fuijan e Umc, che si sono rivolti alla giustizia lamentando irregolarità sull’utilizzo di alcune tecnologie alla base di schede Ssd e chip. La controversia può essere considerata come la “seconda puntata” di un contenzioso legale iniziato a dicembre 2017, quando gli americani della Micron avevano denunciato le cinesi Fuijan e Umc a un tribunale della California sull’utilizzo di tecnologie di cui sostenevano di detenere la proprietà intellettuale.