Facebook offrì a Netflix, Airbnb e Lyft accesso speciale ai dati degli utenti. Convinti di non avere ricevuto “risposte chiare” da Facebook, i parlamentari britannici hanno pubblicato circa 250 pagine di email circolate all’interno del social network e che secondo loro dimostrano che l’azienda offrì ad alcuni inserzionisti un accesso speciale ai dati dei suoi utenti.
Stando agli stessi legislatori, il gruppo guidato da Mark Zuckerberg avrebbe anche contemplato l’idea di fare pagare per potere godere di quell’accesso. Damian Collins, presidente della commissione parlamentare britannica dedicata a questioni legate al digitale, alla cultura, ai media e allo sport, ha scritto su Twitter: “Abbiamo bisogno di un dibattito più aperto sui diritti degli utenti dei social media e sulle aziende più piccole che devono lavorare con i giganti tech. Spero che l’inchiesta della nostra commissione possa difenderli”.
“Non crediamo – ha aggiunto – di avere ricevuto risposte chiare da Facebook su queste questioni importanti, ed è per questo che stiamo diffondendo questi documenti”, pubblicati sul sito della commissione stessa.
La difesa di Facebook non si è fatta attendere. In una nota, il colosso tech spiega che “come qualsiasi altra società, abbiamo avuto conversazioni interne sui vari modi con cui possiamo sviluppare un modello di business sostenibile per la nostra piattaforma. Ma i fatti sono chiari: non abbiamo mai venduto dati delle persone”.
I documenti in questione emersero inizialmente come parte di una causa legale lanciata nel 2015 contro Facebook da uno sviluppatore (Six4Three) di una ormai defunta app; la sua tesi – ora corroborata dai legislatori britannici – era che le politiche sui dati di Facebook erano anticompetitive e favorivano alcune aziende su altre. La maggior parte di quei documenti era stata messa sotto sigillo su richiesta di Facebook e su ordine di un giudice californiano. Facebook ha commentato la diffusione dei documenti dicendo che sono “solo una parte della storia e sono presentati in un modo che e’ molto fuorviante senza un contesto addizionale”. Secondo il colosso di Menlo Park – già alle prese con lo scandalo, esploso a marzo, di Cambridge Analytica e con l’intrusione di hacker scoperta a settembre a danno di 30 milioni di account – la denuncia di Six4Three “è priva di fondamento”.