Le politiche dell’America first di Donald Trump mettono un freno agli investimenti cinesi nelle startup degli Stati Uniti. Dopo il record di 3 miliardi di dollari arrivati nelle casse di imprese innovative Usa nel 2018 (secondo i dati di Rhodium Group), il 2019 potrebbe essere off limits per molti dei capitali che affluiscono dalla Cina, svela un sondaggio condotto da Reuters tra una quarantina di attori dell’industria hitech a stelle e strisce.
Il rallentamento si è già registrato nella seconda metà dell’anno appena concluso: le startup si sono affrettate a chiudere accordi e round di finanziamento entro agosto, quando è entrato in vigore negli Usa un nuovo regime regolatorio che limita l’accesso dei capitali stranieri all’innovazione americana. Il presidente Donald Trump ha infatti firmato una nuova legge che espande i poteri di scrutinio e blocco da parte del governo federale sugli investimenti esteri nelle aziende degli Stati Uniti. La regola vale per tutti i paesi, ma Trump ha sottolineato che il primo beneficio sarà una riduzione del controllo che la Cina può esercitare sulle tecnologie più innovative sviluppate in America.
La normativa non è ancora definitiva, ma gli effetti sono già visibili, come conferma l’avvocato Nell O’Donnell che ha rappresentato diverse aziende tecnologiche Usa nelle transazioni con compratori esteri: “Gli accordi che coinvolgono aziende, compratori e investitori cinesi si sono quasi azzerati”.
Gli studi legali americani stanno velocemente riscrivendo i termini dei contratti in modo da passare il severo vaglio di Washington, ma molte startup Usa preferiscono giocare sul sicuro e rinunciare ai capitali cinesi, come ha fatto la società dell’intelligenza artificiale Volley Labs di San Francisco, che ha rifiutato offerte da investitori della Cina lo scorso anno, mentre nel 2017 aveva accettato i finanziamenti della TAL Education Groupas di Pechino. “Abbiamo deciso che non aveva senso esporsi ulteriormente a investitori di un paese col quale ci sono ora tante tensioni su scambi commerciali e proprietà intellettuale”, ha dichiarato il Ceo di Volley, Carson Kahn.
Un capitalista di ventura della Silicon Valley ha dettodi essere a conoscenza (solo nel proprio portafoglio) di almeno dieci deal saltati per la difficoltà di ottenere il disco verde federale. L’ok deve arrivare dal Cfius, la Commissione per gli investimenti esteri negli Stati Uniti, che valuta i potenziali rischi per la sicurezza e la competitività nazionale degli investimenti stranieri. La legge firmata da Trump ne amplia i poteri; in particolare, il Cfius può esaminare transazioni prima sottratte alla sua autorità, inclusi tentativi di attori esteri di acquisire quote di minoranza nelle startup statunitensi.
Finora la Cina ha aggressivamente investito in tecnologie chiave per la sua competitività globale. Negli Stati Uniti aziende che vanno da Uber a AISense hanno investitori cinesi. I capitali che arrivano dalla Cina sono una quota minoritaria rispetto al totale che fluisce nelle startup della Silicon Valley (ben 84 miliardi di dollari nei primi nove mesi del 2018, secondo PitchBook), tuttavia il congelamento dei rapporti con gli investitori cinesi viene considerato un danno pesante dalle imprese innovative americane perché un supporter cinese agevola l’accesso alla seconda più grande economia mondiale.
Il Cfius è la nuova potente arma che Trump sta affilando nella sua Trade war con la Cina, che più che da motivazioni puramente commerciali nasce dal desiderio di Washington di preservare la proprietà intellettuale americana sulle tecnologie del futuro da cui dipendono la competitività e la sicurezza nazionale. Il Cfius ricade sotto la direzione del ministero del Tesoro, ma riunisce rappresentanti di diversi ministeri e agenzie, tra cui i dipartimenti della Difesa e della Sicurezza nazionale.
La commissione svela pochi dettagli sulle transazioni che passa al vaglio, ma nell’ultimo report annuale si legge che gli investitori della Cina hanno presentato 74 richiese al Cfius tra il 2013 e il 2015, più di quelli di qualunque altra nazione. In particolare, con le ultime disposizioni, il Cfius vuole essere informato di qualunque investimento in tecnologie critiche; la definizione non è ancora definitiva, ma include intelligenza artificiale, tecnologie per la logistica, robotica e analisi dei dati. L’ultima parola sui deal messi sotto la lenta del Cfius spetta al presidente degli Stati Uniti, ma il pollice verso della Commissione è considerata una condanna quasi sicura.