L’Ocse accelera sulla web tax. È stato trovato un accordo di massima, da estendere anche ai Paesi non aderenti all’organizzazione, tra i 127 Stati – Italia compresa – che rappresentano il 90% dell’economia globale: si punta ad introdurre una misura per tassare Google & co già nel 2020. Il principio su cui si è trovata l’intesa è quello di tassare le aziende laddove realizzano effettivamente profitti e ricavi.
Tra i parametri chiave per decidere dove andranno pagate le imposte, l’identificazione e la localizzazione degli utenti che fruiscono dei servizi dei Gafa (Google, Apple, Facebook e Amazon) che peserà di più rispetto alla collocazione della sede ufficiale.
“L’accordo ha avuto il beneplacito di Paesi come la Cina, l’India e gli Stati Uniti”, ha fatto sapere Pascal Saint-Amans, alla guida del centro di politica fiscale dell’Ocse.
A sorpresa è arrivato dunque anche l’ok degli Usa, tradizionalmente contro la web tax. Ma la riforma fiscale votata dal Congresso americano a fine 2017 ha ridotto l’imposta sulle società dal 35% al 21% e l’amministrazione pubblica deve ora cercare di compensare il mancato gettito. Di qui la decisone di dare il via libera alla proposta Ocse.
Le misure fiscali, se approvate dal G20, andrebbero a sostituire quelle decise dai singoli Paesi. L’Italia, con la manovra 2019, ha introdotto una web tax del 3% sui ricavi delle aziende con un fatturato globale oltre i 750 milioni di euro e con ricavi generati nel nostro Paese superiori ai 5,5 milioni. In Gran Bretagna è stata varata un’imposta al 2% sul fatturato che entrerà in vigore ad aprile 2020.
La Francia punta ad approvare una norma ad hoc a fine febbraio. In controtendenza la Germania, che insieme ad Olanda, Irlanda e Lussemburgo, è contraria. Contrarietà che ha affossato anche in tentativi di riforma a livello europeo (la prima proposta Ue era stata presentata a marzo 2018).
I giochi in Europa si potrebbero però riaprire in primavera: il ministro delle Finanze Francese Bruno Le Maire ha annunciato di aver trovato un compromesso con il governo di Berlino.
“Abbiamo proposto un compromesso alla Germania a dicembre e sono convinto che un accordo sarà raggiunto da qui alla fine di marzo – ha spiegato Le Maire – Con le imminenti elezioni europee, i nostri cittadini troverebbero incomprensibile un passo indietro su questo fronte”.
A dicembre i ministri Ue riuniti in ambito Ecofin non sono riusciti a raggiungere un’intesa sulla tassa per i proventi delle attività digitali nonostante la proposta tampone franco-tedesca di circoscrivere l’azione a imprese come Google e Facebook (cioè con fatturato globale superiore ai 750 milioni di euro).
Sulla web tax europea la Francia aveva spinto per un’aliquota del 3% su vendite e servizi online nella Ue da parte di aziende con un fatturato globale di almeno 750 milioni di euro più e vendite online di almeno 50 milioni. Il piano era stato revisionato al ribasso dopo la bocciatura dell’ultimo Ecofin (contrarie Irlanda, Danimarca, Finlandia e Svezia) anche alla luce di timori di eventuali ripercussioni nei rapporti Europa-Usa. La nuova proposta, più light, prevedeva una tassa del 3% sulle entrate derivanti dalle vendite online per un numero di aziende molto inferiore rispetto a quello iniziale, ma nemmeno così è arrivato il via libera. La tassa richiede il sostegno di tutti i 28 stati dell’Ue.
E per accelerare la Commissione europea sta valutando la possibilità di eliminare il potere di veto da parte dei governi dell’Unione sulle iniziative comunitarie di natura fiscale per arrivare finalmente all’approvazione dellaweb tax: in base alle norme attuali, le modifiche sulle tasse devono ottenere l’unanimità dei paesi-membro. Tuttavia, l’iniziativa di Bruxelles trova proprio nel potere di veto il suo primo ostacolo: per eliminare il veto occorre che nessuno eserciti il veto.
Bruxelles chiederà ai leader dell’Ue di considerare un nuovo sistema basato sulla maggioranza qualificata per i voti sulle politiche fiscali. Con tale sistema basterebbero 16 sì su 28 paesi Ue per approvare una norma o una modifica.
Il requisito dell’unanimità ha finora impedito di procedere speditamente su una politica fiscale comunitaria, secondo la Commissione, nonché sull’approvazione di norme su tematiche cruciali come il cambiamento climatico, l’economia digitale e l’energia. L’anno scorso la web tax europea, dopo l’input dell’esecutivo Ue, è stata più volte discussa in sede Ecofin, ma con un nulla di fatto, tanto da spingere diversi paesi, tra cui Italia e Austria, a procedere con schemi normativi su scala nazionale.
La Commissione ha intenzione di suggerire ai paesi Ue di far uso della cosiddetta clausola passerella del trattato dell’Unione europea che permette cambiamenti nei metodi di voto. Ma attivare tale clausola richiede l’unanimità dei paesi Ue ed è qui che il piano della Commissione potrebbe infrangersi.