Le intelligenze artificiali, i robot o in qualsivoglia modo si intendano identificare le “creature” smart, si stanno evolvendo in chiave “cognitiva”. Questo tipo di evoluzione richiede e richiederà sempre più – sostegnono gli addetti ai lavori – una modalità di progettazione e di configurazione delle “macchine” figlia di skill altamente “immateriali”. Skill appartenenti più alle donne che agli uomini.
Creatività, problem-solving, empatia, negoziazione e persuasione le “caratteristiche” al top della classifica delle competenze necessarie nel campo dell’intelligenza artificiale. “I lavori del futuro ad elevata capacità professionale e quindi anche i più pagati includeranno quelli in cui le competenze saranno misurate sulla base dell’EQ, il quoziente emotivo, e non solo più del ‘tradizionale” IQ, il quoziente intellettivo”, sottolinea dalle colonne del Financial Times il chief economist della Bank of England Andy Haldane. Se è vero che le skill di cui sopra non sono “esclusiva” femminile è anche vero che sono le donne ad essere “storicamente” identificate come regine del mondo dell’emotività. Dunque l’intelligenza artificiale potrebbe divenire presto un campo d’azione “dominato” dalle donne. Le nuove skill secondo gli esperti non possono e non devono più essere definite “soft” – termine troppo spesso usato in maniera “sminuente” e abbinato alle donne in quanto “deboli”– ma robot-proof skills.
Stando inoltre a uno studio dell’Università di Zurigo i trend predetti nel lontano 1980 dallo stesso Haldane si stanno verificando: secondo l’economista le probabilità che un laureato maschio finisse per svolgere professioni altamente intellettuali sarebbero andate a scendere nel corso degli anni a favore di una crescente percentuale delle colleghe donne. Questo perché la richiesta di skill “emozionali” avrebbe registrato una crescita esponenziale. E così in effetti sta andando. Nonostante le grandi opportunità che si aprono per le donne, non bisognaperò dimenticare che le skill “cognitivo-emozionali” dovranno necessariamente fare il paio con quelle tecnologiche. Ed è qui che si rischia il cortocircuito. Ancora troppo poche le donne specializzate in coding, e se non si colmerà il gap difficilmente potrà verificare un primato femminile nel settore dell’intelligenza artificiale.
Non solo: già si sono verificati alcuni usi distorti dell’intelligenza artificiale in cui la mano “maschile” ci ha messo lo zampino. Amazon, ad esempio, ha recentemente scoperto che qualche anno fa è stato fatto un esperimento di job recruiting attraverso un tool AI che discriminava le donne visto che il sistema era stato progettato per penalizzare i curricula che contenevano la parola “donna”. E siccome il machine learning per sua natura impara dai dati “storici” è evidente che situazioni di questo tipo possono compromettere tutta la catena del valore andando ad estromettere le donne dal mercato stesso dell’intelligenza artificiale.
Stando a dati di Linkedin ad oggi gli uomini occupano l’80% delle posizioni lavorative nel campo dell’AI e dunque possono teoricamente, ma anche praticamente, “influenzare” il contesto. Eppure secondo molti esperti le donne avranno la meglio nella seconda generazione dell’AI, quella in cui le skill cognitive peseranno più delle altre. Dunque la partita è ancora aperta e ancora tutta da giocare.