L'INTERVISTA

Campanini: “Lte e net neutrality per rilanciare il mobile”

Il partner di A.T. Kearney in Italia analizza la crisi dei ricavi in cui versa il settore: “Dal 4G nuova linfa. Ma serve un maggiore equilibrio tra telco e Ott”

Pubblicato il 21 Feb 2012

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La comunicazione mobile è ormai un settore chiave in Europa, comparabile per dimensioni all’aerospazio e addirittura più grande dell’industria farmaceutica, tanto da registrare ricavi totali per 174 miliardi di euro nel 2010 (pari all’1% del Pil). Un’agguerrita concorrenza all’interno del settore sta facendo però calare i prezzi del mobile in maniera drastica (- 11/-13% all’anno dal 2006 al 2010) e negli ultimi anni gli utili degli operatori mobili sono in molti casi scesi. Claudio Campanini, partner di A.T. Kearney in Italia, analizza le difficoltà che sta attraversando il settore e anticipa i futuri sviluppi.
Possiamo dire che anche le Tlc mobili, finora una fabbrica di soldi, sono in crisi?
Io non direi. Nonostante la redditività sia calata, resta ancora alta. In Italia, ad esempio, i tre principali operatori generano un Ebitda nell’intorno del 44%-45% dei ricavi, o ancor meglio un cash flow operativo pari almeno al 30% dei ricavi, togliendo la quota di investimenti necessari per lo sviluppo delle reti che si aggira intorno al 14%. La redditività è in grado di garantire importanti flussi di cassa, che consentono un ritorno sul capitale investito medio di settore in Europa nell’intorno dell’11-12%.
Allora dov’è il problema?
Il tema vero è che a fronte di una redditività in tensione – ma ripeto, ancora alta – il traffico dati cresce, trainato da servizi innovativi, che stanno cambiando le dinamiche di settore e il modo in cui gli utenti utilizzano i terminali, con smartphone e tablet a fare da traino. Il mobile Internet sta esplodendo, ma i ricavi aggiuntivi da servizi dati non sono in grado di controbilanciare l’erosione del ricavo medio per cliente (Arpu) dei servizi tradizionali per effetto della concorrenza e degli interventi regolatori. In questo contesto, gli operatori dovranno investire nelle reti Lte per gestire nel modo più efficiente possibile la domanda di traffico dei clienti legata a servizi e apps Web in mobilità e per garantire una migliore “customer experience” . Ma questo investimento con ricavi in discesa, o al più stabili in alcuni paesi europei, vuole dire una discesa della capacità di generare cassa e remunerare gli azionisti.
In Italia è realistico pensare a un piano di investimenti in Lte in questa congiuntura economica non favorevole?
Certamente la crisi attuale non facilita le scelte degli operatori. Se a queste si aggiunge la saturazione del mercato mobile e gli interventi del regolatore che prevedono un taglio forte delle tariffe di terminazione nel periodo 2012-2015 per allinearsi all’agenda europea, non si può negare che ogni operatore si troverà a dover fare scelte che garantiscano un giusto mix tra soddisfazione della domanda, posizionamento competitivo e ritorno sull’investimento.
E allora?
Non mi aspetto piani di deployment spinti alla rapida copertura nazionale in Lte, piuttosto un impegno economico graduale che faccia fronte alle esigenze di traffico e domanda laddove richiesto, come ad esempio nelle zone urbane ad altissima densità dove le reti 3G presentano elevati livelli di saturazione. Nelle altre aree dove la richiesta dell’utenza è meno pressante, mi aspetto uno sviluppo più lento e molto mirato. Non è poi da sottovalutare che il passaggio all’Lte consente ai carrier comunque di essere più efficienti nella gestione dello spettro con capacità di tre/quattro volte superiore al 3G.
Oltre agli investimenti in Lte cosa fare per sostenere un mercato il cui valore è destinato a scendere?
La risposta sta nelle mani degli operatori, nella loro capacità di gestire una competizione di prezzo, che consenta uno sviluppo profittevole della domanda, e nelle regole del mercato che in contesti competitivi e con redditività in calo possono cambiare la struttura del settore.
Dal caso italiano cosa si aspetta?
Oggi in molti paesi europei ci si sta interrogando se sia una struttura a 3 o a 4 operatori a garantire un bilanciamento tra competizione, benefici per i consumatori e capacità degli operatori di generare valore. In Italia c’è un operatore (il riferimento è a 3, ndr) che fatica a generare valore e potrebbe non sostenere gli investimenti richiesti dal settore.
Il governo Monti ha varato l’Agenda digitale. Dagli investimenti pubblici può arrivare una spinta al mercato?
Il passaggio della PA al digitale è un driver importante perché di stimolo all’utilizzo di servizi Tlc e di strumenti, anche in mobilità. Ma è solo da qui può venire nuova linfa al settore…
Da dove potrebbe venire?
Ci sono servizi che sono stati nel limbo per anni e che con gli sviluppi tecnologici recenti possono avere un forte impulso: mobile payment – soprattutto micro-pagamenti Nfc – il mobile gaming, il mobile advertising e l’m-shopping. Si tratta di prestazioni che creano ecosistemi intorno agli operatori. A condizione però che si definisca un punto di equilibrio tale da che garantire giusti incentivi a telco e Ott per sviluppare servizi e bilanciare la suddivisione del valore associato alla disponibilità delle reti mobili. È necessario sciogliere il nodo della neutralità della rete.

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