Al di là del “caso Huawei“, il vero nodo per l’Europa è costruire la sua competitività e la cybersicurezza in un futuro che potrebbe essere dominato da tecnologie sviluppate fuori dall’Ue: lo scrive Vittorio Colao, già Ceo di Vodafone e già vicepresidente di European Roundtable of industrialist in un articolo sul Corriere della Sera. Se tutta la tecnologia viene da fuori Europa, “il problema è svilupparci digitalmente in maniera sicura nei prossimi anni”, afferma Colao.
“Il dibattito sulla tecnologia cinese e Huawei non si sta focalizzando sul vero nodo da affrontare. Tre sono i livelli spesso confusi: Huawei specificatamente, la tecnologia cinese in generale e la capacità europea di competere e proteggersi”, scrive l’ex numero uno di Vodafone.
Su Huawei Colao ricorda che Robert Hannigan, ex direttore dell’intelligence britannica Gchq, ha detto che ad oggi non esistono prove che Huawei abbia deliberatamente ingegnerizzato e venduto tecnologia con “accessi di favore” per enti statali cinesi, né sono note azioni di spionaggio o hacking avvenute specificamente su tecnologie Huawei (qui le dichiarazioni di Hannigan sul Financial Times). Da anni però il National cyber security center, parte del Gchq, chiede a Huawei di irrobustire la struttura del suo software e rendere più facile ispezionarlo. Quindi, osserva Colao, al momento “è di vulnerabilità ma non di spionaggio che parliamo”.
“Diverso e più fondamentale è invece il punto della vulnerabilità futura dei nostri Paesi — altamente digitalizzati da 5G e applicazioni IoT — se adottiamo tecnologia e software prodotti in un Paese con regole e standard democratici diversi dai nostri”, continua Colao. “Tali Paesi potrebbero usare questi poteri sui produttori di tecnologia come arma geopolitica. Questo è un rischio che i leader delle aziende debbono valutare seriamente”.
Per questo motivo diverse società di telecomunicazione hanno limitato fortemente l’adozione in Europa di tecnologia cinese nelle parti vitali delle infrastrutture (il core). “Gli Usa hanno invece esteso questa cautela a tutto, perfino smartphone e tablet: per scelta geopolitica ma anche per protezione di interessi commerciali giudicati strategici, essendo molti produttori di tecnologia e software basati negli Stati Uniti”.
All’Europa resta la questione cruciale: possiamo svilupparci digitalmente in maniera sicura nei prossimi anni se tutta la tecnologia chiave proviene comunque da fuori Europa? “Non possiamo vietare tutto, ma neanche prender rischi leggermente. E vogliamo esser completamente dipendenti da valutazioni dell’alleato americano, che legittimamente privilegia i suoi interessi strategici?”
Per Colao, “Dobbiamo esser più decisi nel sostenere e sviluppare il settore tecnologico europeo, ma ci vorrà tempo e comunque dovremo per anni affidarci a tecnologie non europee, da certificare tecnicamente e politicamente. Una soluzione — da anni sostenuta dalle grandi aziende tecnologiche europee — sta nel creare in ogni nazione l’equivalente del complesso Gchq-Ncsc“, ovvero un ente di intelligence digitale con compiti di protezione della cybersicurezza di imprese e enti pubblici dotato di “poteri legalmente definiti” e “in grado di ispezionare, certificare, investigare, e se necessario reprimere/contrattaccare nel mondo digitale”.
Questo baluardo della cybersecurity dovrebbe anche poter valutare opzioni tecnologiche, commerciali e di difesa e dialogare con imprese e PA. Per farlo, serviranno competenze: Colao parla di “alcune migliaia di giovani tecnici espertissimi e motivati in ogni Paese, collegati istituzionalmente a livello nazionale e internazionale, con la missione di garantire sicurezza e indipendenza allo sviluppo digitale delle nazioni d’Europa”.