Gelata nel settore shopping britannico. Operare negozi fisici ha costi troppo alti, soprattutto a causa delle tasse. Quindi, numeri in negativo, grandi catene che chiudono punti vendita, posti di lavoro persi. La reazione non si fa attendere: il parlamento britannico si mette in moto per trovare una soluzione. Il piano è semplice: tassare i colossi dell’e-commerce, considerati i primi responsabili di questa flessione delle vendite tradizionali.
È quanto emerge da un rapporto realizzato dal parlamento britannico: i rivenditori Internet come Amazon e gli inglesi Asos (specializzato in cosmetica) e Boohoo Group (che si occupa di fashion) dovrebbero pagare tasse più alte nel Regno Unito per aiutare a salvare i negozi fisici, in difficoltà perché stanno perdendo entrate per l’e-commerce.
Una tassa sulle vendite online, una maggiore imposta sul valore aggiunto e “tasse verdi” sulle spedizioni e sugli imballaggi dovrebbero essere considerate come un aiuto per alleggerire la pressione fiscale sui negozi fisici mentre i consumatori passano allo shopping su Internet, secondo il rapporto presentato la scorsa settimana e ripreso dall’agenzia Bloomberg.
Nel Regno Unito solo nel 2018 circa 70mila posti di lavoro sono andati persi nel settore del commercio al dettaglio, quando catene come Marks & Spencer e Debenhams hanno annunciato l’intenzione di chiudere centinaia di negozi. Tesco, il più grande rivenditore del Regno Unito, ha annunciato a gennaio fino a 9mila tagli di posti di lavoro. Le vendite su Internet sono un fattore determinante, con i consumatori britannici che spendono di più via web rispetto a quelli di qualsiasi altro paese europeo e che equivalgono a un quinto delle vendite del mese di dicembre, secondo il rapporto.
“La capacità di fare affari deve essere resa equa”, ha detto Clive Betts, membro della Camera dei comuni e presidente della commissione. “Attualmente i rivenditori online hanno condizioni migliori rispetto alle aziende con una presenza nelle strade, e questo deve finire”.
Le azioni di Asos sono scese del 3,2% a Londra, mentre quelle di Boohoo sono diminuite del 2,7%. Secondo il rapporto, i piccoli rivenditori tradizionali pagano più della quota di tasse che sarebbe “giusta”, mentre i rivenditori online non contribuiscono abbastanza. Le tasse di Amazon ammontano a circa lo 0,7% in proporzione al fatturato, mentre la maggior parte dei rivenditori su strada paga da due a otto volte: New Look paga il 6,5%, Marks and Spencer il 2%. Il gigante della tecnologia deve però confrontarsi anche l’introduzione di un’imposta digitale nel Regno Unito a partire da aprile 2020.
Amazon ha detto a Bloomberg che paga le tasse nel Regno Unito e in tutti i paesi in cui opera e ha investito più di 9,3 miliardi di sterline (10,5 miliardi di euro) nel Regno Unito a partire dal 2010. “Le imposte sulle società – ha commentato in una nota per la stampa Amazon – si basano sui profitti, non sulle entrate, e i nostri profitti sono rimasti bassi dato che la vendita al dettaglio è un’attività altamente competitiva a basso margine e il nostro continuo investimento è molto elevato”. Asos e Boohoo non hanno commentato il rapporto.
Il settore del commercio al dettaglio rappresenta circa il 5% del prodotto interno lordo del Regno Unito e paga il 25% delle tariffe aziendali, secondo il rapporto governativo. Mike Ashley, il miliardario proprietario di Sports Direct International, lo scorso dicembre ha dichiarato alla commissione che l’e-commerce è la più grande minaccia per i negozi del Regno Unito. Come strategia per incoraggiare i rivenditori a mantenere aperti i negozi fisici, ha proposto una tassa del 20% sui rivenditori che fanno più di un quinto delle loro vendite online.