Per toccare con mano il 5G ci vorrà ancora tempo. Se è vero che le sperimentazioni procedono in tutto il mondo e che gli Usa, con Verizon, hanno battuto tutti sul tempo con il lancio di alcuni servizi in cinque città, la quinta generazione mobile è ancora di fatto in fase di “test”.
La commercializzazione vera e propria in tutto il mondo, ossia le applicazioni “concrete” – quelle tariffate – vedranno la luce non prima del 2020. E per il “livello” consumer bisognerà attendere con tutta probabilità almeno un paio d’anni.
I servizi in fase di test sono molti e riguardano ambiti disparati, anche se sono tre al momento quelli in cui si sta concentrando l’attenzione: industria, trasporti e automotive. A giudicare dai numeri e dalle stime degli analisti è l’ambito industriale quello che si candida al primato dei “battesimi”. Ma l’orizzonte non è ancora limpido: quali saranno i servizi che potranno essere messi a “catalogo”? E come saranno tariffati? Da dove arriveranno gli introiti che consentiranno di ammortizzare gli ingenti investimenti messi in campo dalle telco fra licenze e roll out delle reti?
Nessuno degli operatori di Tlc si è ancora spinto in previsioni di sorta. Al momento manca dunque un modello di business. Una questione non da poco, ma che andrà sciolta in tempi rapidi: le tecnologie ci sono, la macchina è pronta per accendere i motori, ma il rischio è che si arrivi all’appuntamento senza una o più “killer application”. A dispetto delle previsioni e dei desiderata, il fischio di inizio della partita non è quindi così scontato, al di là degli annunci.
Si dice che il 5G, diversamente dalle precedenti “generazioni” mobili, invertirà per la prima volta l’ordine dei fattori: prima il business poi il consumer. Ma sarà davvero così? Oppure ancora una volta per la volta bisognerà fare leva sulla “massa”? Anche in quest’ultimo caso però il modello non è chiaro: quali saranno i servizi e le applicazioni che i consumatori saranno disposti a pagare in nome dell’alta velocità? Quanto saranno disposti a pagare? E, soprattutto, la velocità di connessione sarà sufficiente a sostenere la “migrazione”?
Con la fibra non è andata così, o almeno non ancora. Nonostante si proceda con la posa delle nuove reti e sia sempre più ampia la disponibilità della tecnologia Ftth sui territori, al momento non c’è corrispondenza fra disponibilità di infrastrutture e domanda da parte degli utenti. Se fosse questa la cartina di tornasole l’orizzonte del 5G rischia di farsi nebuloso. La domanda di nuove tecnologie non fa il paio con la disponibilità di tecnologie se queste restano “vuote” di servizi e applicazioni davvero di nuova generazione. E qui torna in ballo la teoria dei “tubi stupidi” che attanaglia le telco ormai da un decennio.
Se è vero che sta progressivamente aumentando il traffico dati e che la porzione “video” è quella con il più alto tasso di crescita è anche vero che le attuali prestazioni di rete, anche quelle delle “tradizionali” linee fisse (persino quelle in rame) sono già in grado di soddisfare le esigenze del mercato. E anche in tema di Internet of things non si ravvisa al momento una necessità di “banda” superiore a quella attualmente disponibile, nemmeno in ambito industriale, per non parlare delle applicazioni smart home.
Cosa dobbiamo aspettarci dunque? Il 5G è davvero alle porte o ci vorrà ancora qualche anno prima che i reali benefici si traducano in servizi “concreti” per gli utenti – business e consumer – e in profitti altrettanto “concreti” per le telco?