Il passaggio alla televisione digitale è alle battute finali: il prossimo 30 giugno terminerà in Italia la transizione alla tv digitale con il completamento del passaggio delle regioni meridionali, Puglia, Calabria, Sicilia. Ma inizia a prendere sempre più forza l’idea di non essere di fronte alla conclusione di un processo lungo, iniziato nel lontano 2004. Bensì alla vigilia di un nuovo e complesso processo di trasformazione e riassetto del sistema televisivo italiano. Il passaggio alla televisione digitale terrestre, infatti, non ha consegnato al Paese un sistema televisivo più razionale e ottimizzato nell’uso dello spettro radioelettrico e nella composizione degli attori in campo, emittenti nazionali e locali.
La tv digitale italiana si presenta con la stessa “complessità” della tv analogica: tanti operatori di rete nazionali ed un numero spropositato di emittenti tv locali, un circolo ancora in gran parte chiuso ai nuovi entranti ed un utilizzo dissipatorio delle preziose risorse frequenziali.
A questo quadro sistemico si aggiungono tre elementi congiunturali: risolvere il “rebus” del beauty contest, con l’assegnazione di 6 frequenze nazionali per tentare di chiudere una procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea; prepararsi a rispondere all’annunciata liberazione da parte delle tv della banda 700 (canali 49-60) a partire dal 2015 per consentirne usi di banda larga mobile; ed infine portare a compimento la liberazione dei canali 61-69 venduti nei mesi scorsi, a caro prezzo, alle compagnie telefoniche. Il combinato disposto di questi elementi rischia di mandare in cortocircuito non solo la fase conclusiva degli switch off italiani ma l’intero sistema. A meno che non si inizi, come sostenuto da autorevoli esperti del settore, a pensare seriamente da subito ad una razionalizzazione, mai compiuta finora, del sistema televisivo italiano che passi inevitabilmente attraverso l’adozione di nuove soluzioni e standard tecnologici.
Ecco che ormai sempre più apertamente fa capolino anche in Italia il tema dell’introduzione del Dvb-T2, ovvero l’evoluzione dello standard attualmente in uso che porterebbe con sé due enormi vantaggi: aumento dell’efficienza spettrale ovvero, a parità di banda, più canali Tv; e aumento dell’efficienza energetica, ovvero maggior copertura del territorio a parità di siti trasmittenti e della loro potenza.
Il beneficio maggiore, ed il più utile per la contingenza italiana, è l’aumento del numero di canali a parità di banda. L’incremento di capacità trasmissiva del T2 è quantificato in quasi il 50% in più rispetto all’attuale Dvb-T, e può raggiungere con l’adozione di nuove codifiche di sorgente (Mpeg-4 ) un vantaggio trasmissivo di circa il 300% se si ragiona in termini di numero di programmi trasportabili a pari qualità. Il T2 è di fatto la strada obbligata per un’offerta forte di canali in alta definizione sulla piattaforma televisiva digitale terrestre.
C’è un problema, però. L’introduzione del nuovo standard obbliga la sostituzione non solo degli apparati di trasmissione quanto soprattutto degli apparati riceventi, televisori e decoder, nelle case degli italiani. Ecco perché la soluzione dell’enigma televisivo italiano con l’introduzione del T2 non è dietro l’angolo, ma si conferma una strada obbligata. In Gran Bretagna è già partita l’offerta commerciale di canali digitali trasmessi in Dvb-T2, ed è di questi giorni la notizia che la Rai inizierà in via sperimentale la trasmissione in T2 nella pianura padana. Il vero ostacolo rimane l’adeguamento dei ricevitori, con il conseguente costo a carico dei cittadini. Ecco perché, mentre i tecnici, gli operatori televisivi e la politica discutono sul cosa, come e quando farlo, occorrerebbe, nel mentre, una piccola ma semplice norma come fu fatta nel 2006 per il predecessore Dvb-T: introdurre, da subito e per legge, la presenza di decoder T2 nei nuovi televisori e nei decoder in commercio a partire dal 2013. In questo modo il prossimo, inevitabile, switch off della televisione italiana, quando sarà (2018? 2020?), sarà reso possibile da una presenza fisiologica nelle case degli italiani di un buon numero di apparati riceventi.