Non c’è pace per Facebook. Dopo la stangata da 5 miliardi di dollari inflitta dalla Federal Trade Commission, questa volta il social network entra nel mirino della privacy europea per la trascrizione dei messaggi vocali trasmessi via Messenger. La Commissione irlandese per la protezione dati personali ha dichiarato di aver aperto un fascicolo a riguardo (le azioni di Facebook sono diminuite dell’1,3%, stamani) che punta ad analizzare anche eventuali violazioni da parte di Google e di Apple sullo stesso tema.
L’azienda guidata da Mark Zuckerberg avrebbe pagato centinaia di operatori esterni per trascrivere i messaggi vocali trasmessi dagli utenti tramite Messenger, la chat del social network. Lo riporta l’agenzia Bloomberg, alla quale il colosso guidato da Mark Zuckerberg ha risposto ammettendo l’operazione in passato, ma spiegando di “essere stata autorizzata dagli utenti“, anche se alcuni esperti ritengono che non ci sia scritta nelle condizioni l’uso l’eventualità di questo utilizzo dei messaggi vocali. “Non lo faremo più”, ha garantito.
Tra le aziende che hanno effettuato trascrizioni dei file audio, al fine di migliorare le tecnologie di assistenza, ci sono anche Apple e Google, che nei giorni scorsi hanno annunciato di aver interrotto questo genere di operazioni. Amazon, invece, ha spiegato che permetterà agli utenti di impedire l’utilizzo per la trascrizione dei messaggi vocali scambiati con l’assistente vocale Alexa, contenuto nei dispositivi Echo.
Una delle società esterne incaricate di trascrivere le chat è TaskUs, sede a Santa Monica, California, con impiegati in tutto il mondo. I dipendenti non sono autorizzati a dire pubblicamente a chi è destinato il loro lavoro. Chiamano il client con il nome in codice “Prisma”. “Facebook ci ha chiesto di sospendere questo tipo di lavoro più di una settimana fa, e lo abbiamo fatto”, ha dichiarato TaskUs a Bloomberg.
Già in aprile era esploso il caso Alexa di Amazon: migliaia di lavoratori in tutto il mondo avrebbero “ascoltato” le richieste rivolte all’altoparlante smart con l’obiettivo di migliorare il software. Una pratica simile era stata utilizzata per Siri di Apple e Google Assistant di Alphabet. Da allora Apple e Google hanno dichiarato di non attuare più questo tipo di attività.