Nuova Agcom, sfida politica

Il vero nodo è la qualità dei prescelti. La legge è chiarissima: vanno scelte persone dotate di alta e riconosciuta professionalità nel settore. Non è sempre stato così. Troppi nominati portavano il segno del partito di riferimento. Nell’era dei tecnici è opportuna una inversione di tendenza

Pubblicato il 02 Apr 2012

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A metà maggio scade il mandato dell’Authority per le Garanzie nelle Comunicazioni presieduta da Corrado Calabrò. A eleggere il nuovo presidente provvederà un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio. Per i componenti del Consiglio di Agcom, invece, saranno le Camere, in seduta disgiunta, a fare le nomine: due componenti per ciascun ramo del Parlamento. È l’effetto della riforma Monti che ha ridotto i membri di Agcom da otto a quattro. Una situazione inedita che rischia di creare situazioni paradossali: ad esempio, visto che ciascun parlamentare – a norme costanti – può indicare due candidati, il partito di maggioranza potrebbe eleggere tutti i nuovi componenti di Agcom. Oppure, in caso di entente cordiale, si potrebbe andare ad una spartizione tra i due maggiori partiti. La spartizione dei componenti fra le forze politiche è stata del resto la regola sino ad ora.

Il vero nodo è la qualità dei prescelti. La legge è chiarissima: vanno scelte “persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore”. Non sempre è stato così. Troppi nominati portavano il segno del partito di riferimento senza le qualità necessarie.

Nell’era dei tecnici, è opportuna una netta inversione di tendenza. I nominati devono avere caratteristiche professionali e morali adeguate al ruolo di garanzia e vigilanza che sono chiamati a ricoprire. Compete al governo e alle forze politiche mostrare senso di responsabilità e rispetto delle istituzioni.

Ciò è tanto più importante in un’Authority che vedrà ridotti i suoi membri da otto a quattro, con responsabilità allargate al settore postale. Tra le attribuzioni di Agcom c’è la vigilanza del settore audiovisivo. Una anomalia italiana salutata all’inizio come un esempio di capacità di visione politica nella prospettiva della convergenza dei media.

Di fatto, visto il peso di Rai e Mediaset nell’audiovisivo italiano, si è tramutato in un peccato originale che ha reso ancora più appetibile per la politica il controllo o quantomeno l’influenza sull’attività dei commissari Agcom. A 17 anni dall’istituzione dell’Authority, una riflessione su questo tema non sarebbe inutile.

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