È sempre difficile riuscire a far capire al grande pubblico cosa vuol dire davvero 5G: quali sono le potenzialità della tecnologia e in che modo, pragmaticamente è destinato a cambiare professioni, economie, passioni, stili di vita. Ma la dimostrazione che ha fatto oggi Vodafone nell’ambito della telemedicina ha lasciato sbalorditi persino gli addetti ai lavori, che sono abituati alle profezie che girano nell’ambiente da ormai qualche anno. Collegandosi tramite 5G all’ospedale San Raffaele (a Segrate, alle porte di Milano), dove era stata predisposta una postazione attrezzata con un robot chirurgo, il professor Matteo Trimarchi, otorinolangoiatra dell’Irccs Ospedale San Raffaele, ha effettuato un intervento di microchirurgia laser operando direttamente dall’headquarter di Vodafone, che si trova dall’altra parte della città. Il pubblico, riunito in occasione del 5G Healthcare – Vodafone Conference & Experience Day che si è tenuto stamani per l’appunto al Vodafone Village, godeva della visuale che ha il chirurgo durante l’operazione – eseguita su un modello di laringe sintetica – grazie a un maxi schermo.
Come il 5G potenzia le capacità umane
La straordinarietà, anche se si è trattato del primo esperimento italiano, non è stata tanto nel fatto in sé (il primo intervento chirurgico da remoto risale al 2001, e in Cina la prima operazione eseguita tramite 5G è stata condotta all’inizio del 2019), quanto nell’aver quasi toccato con mano l’esperienza: ovvero vedere il modo in cui si muove il robot controllato a distanza dal chirurgo, la sua precisione millimetrica, l’accuratezza e la nettezza dei gesti e confrontarli con quelli della mano tremante dell’operatore umano presente in loco, che nella demo aveva il compito di supervisionare e concludere l’operazione. Il 5G ha in questo caso dimostrato ciò che già rappresenta – il tempo presente è d’obbligo – per moltissime attività professionali: un potenziamento delle capacità umane che fa leva sull’analisi dei dati, sulla robotica e sulla condivisione delle conoscenze e delle competenze. L’intervento di Trimarchi è infatti stato possibile grazie all’ausilio di un visore 3D, che permetteva al chirurgo di osservare il tavolo operatorio come fosse presente di persona, di un tablet interattivo su cui effettuare le incisioni laser, di una periferica che simulava l’impugnatura della pinza e per l’appunto dell’apparato che in ospedale riceveva i dati trasmessi dal Vodafone Village tramite un’architettura 5G completa, dotata quindi di router ad hoc e di soluzioni di Edge computing per portare al minimo la latenza nelle trasmissioni.
I progetti 5G di Vodafone in ambito Healthcare
Ma l’operazione, realizzata in collaborazione con l’Istituto italiano di Tecnologia, è stato solo il clou di una giornata interamente dedicata ai casi d’uso che Vodafone sta sviluppando nel settore Sanità e Benessere sulla scorta del trial 5G condotto sull’area metropolitana di Milano. Si tratta di sei progetti che comprendono: ambulanza connessa, wearable per la misurazione dei parametri corporei durante l’attività fisica, robotica di servizio e riabilitativa, medical cognitive tutor, IoT per la telemedicina. A questi, ha spiegato Sabrina Baggioni, 5G Program Director di Vodafone Italia, si aggiungono tre nuove iniziative: i sistemi di analisi e consulto medico da remoto, il monitoraggio remoto del paziente e, per l’appunto, la chirurgia da remoto. Nove use case in tutto, che costituiscono un’ampia fetta dei 41 progetti coordinati da Vodafone in ambito 5G. “L’healthcare è uno dei grandi temi su cui il 5G avrà un impatto profondo”, ha confermato Aldo Bisio, amministratore delegato di Vodafone Italia. “Ma per vincere questa sfida, come e più che in altri settori, sarà fondamentale lavorare su modelli di partnernariato pubblico-privato e fare attenzione al rischio di obsolescenza delle professioni che esistono attualmente. Le persone hanno il diritto e il dovere di riqualificarsi per stare al passo con le nuove tecnologie. E anche da questo punto di vista il 5G può decisamente dare una mano”.
Scienza, ricerca e sviluppo tecnologico: parola d’ordine collaborazione
Sul fronte scientifico e tecnologico occorrerà istituire collaborazioni sempre più strette tra mondi fino a oggi molto lontani tra loro. “In passato abbiamo provato a riprodurre modelli esterni, come quello della Silicon Valley, che è nativamente digitale. Invece noi abbiamo competenze mediche da valorizzare attraverso le nuove tecnologie, ed è questa la strada da percorrere”, ha detto Ferruccio Resta, rettore Politecnico di Milano, annunciando le partnership con lo Human Technopole e con Humanitas per l’avvio di una serie di nuovi strumenti di formazione: il Dottorato di ricerca in Data Analytics and Decision Sciences e le lauree magistrali in Bioinformatics and computational genomics. “Tecnologie, Data science e Ethics saranno i pilastri della nostra offerta sul piano della Life Science”, ha aggiunto Resta.
Collaborazione ed ecosistema sono anche le parole d’ordine di tutta la filiera su cui è imperniato il settore. Organizzazioni, ospedali, imprese private e poli tecnologici si guardano incontro e cercano sponde per alimentare la ricerca di base e soprattutto per favorire l’industrializzazione degli use case identificati. Il primo passo è riuscire a passare dal concetto di cura a quello di benessere, adottando un approccio preventivo rispetto allo stato di salute degli individui. “Questo vuol dire far fluire i dati che arrivano dal paziente e condividerli con un sistema di conoscenze scientifiche che ha portata globale: ciascun paziente è interpretabile nella misura in cui i dati relativi alla sua situazione possono essere contestualizzati e confrontati con quelli già acquisiti. Serve uno sforzo gigantesco di connessione e di interoperabilità dei dati per far dialogare i sistemi”, ha notato Pier Giuseppe Pellicci, direttore Ricerca dell’Istituto europeo oncologia, aprendo la tavola rotonda ospitata dall’evento.
Elena Bottinelli, amministratore delegato dell’Ospedale San Raffaele, ha proseguito dicendo che d’altra parte la sua concezione di “smart hospital prevede la collocazione in una smart city in grado di offrire ai propri abitanti una smart life. Per quanto ci riguarda, abbiamo già cambiato paradigma: puntiamo all’ingegneria della consapevolezza, e al raggiungimento della salute attraverso la costruzione dell’area del benessere. Come? Collegando i dati generati dai wearable agli strumenti diagnostici presenti in ospedale per prevenire l’insorgenza di problemi. La tecnologia ci consente di fare tutto ciò, il tema da affrontare è piuttosto quello dell’educazione: gli utenti, pur essendo ben disposti a pubblicare sul web informazioni personali di ogni genere, hanno ancora parecchie remore a condividere i propri dati con le strutture sanitarie”.
Per Luciano Ravera, amministratore delegato dell’Istituto clinico Humanitas, e Franca Melfi, direttore del Centro di chirurgia robotica dell’Ospedale di Pisa, c’è molto da fare anche sul piano dell’offerta sanitaria, in tandem con le istituzioni pubbliche. “Fin qui si è parlato di integrazione di saperi, di dati, di strutture, di discipline a cavallo di medicina e ingegneria, e di trasferimento tecnologico”, ha detto Ravera. “Il problema però è che il sistema è costruito per silos. Il 5G non fa altro che rendere cogente il tema, ma abbiamo bisogno che le istituzioni prendano atto del fatto che da ora in avanti non ci possiamo più limitare a curare il paziente: dobbiamo prendere in carico il suo percorso. Diventa quindi necessario considerare un finanziamento al percorso e non alla singola prestazione”.
Rappresentando il versante tecnologico, sono intervenuti Michele Perrino, amministratore delegato di Medtronic, e Gianmarco Montanari, direttore generale dell’Istituto italiano di Tecnologia, che ha il compito di ‘mettere a terra’ quanto viene prodotto dagli specialisti dell’R&D. “Tutta la rivoluzione del 5G ha senso solo se c’è la governance del dato”, ha dichiarato Perrino. “Una condizione raggiungibile nel momento in cui gli attori coinvolti si siedono intorno a un tavolo, cominciano a parlare una lingua comune e abbandonano, ciascuno nel proprio ambito, le comfort zone che impediscono la creazione di un ecosistema compiuto” .