IL RAPPORTO

Italia al palo su ricerca e innovazione. Conte: “Nascerà nuova Agenzia”

La relazione 2019 del Cnr: il basso rapporto investimenti-Pil ci posiziona a fondo classifica in Europa. Ricercatori in aumento, ma l’età media è di 46 anni. Alto il divario di genere. Il premier: “Serve incrementare la spesa pubblica”

Pubblicato il 15 Ott 2019

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Ricerca e innovazione, Italia ancora in maglia nera. Nonostante un leggero miglioramento e il quadro positivo della produzione scientifica dei ricercatori. Emerge dalla Relazione 2019 del Cnr presentata oggi alla presenza del premier Giuseppe Conte e del ministro Miur Lorenzo Fioramonti. “Dobbiamo incrementare il finanziamento pubblico di R&S” ha detto Conte. Che ha annunciato la creazione, in legge di Bilancio, di “un’Agenzia Nazionale per la Ricerca che coordinerà la ricerca di università, enti pubblici ed enti e istituti privati”.

Migliorano, ma in misura insufficiente, i dati della spesa in R&S in rapporto al Pil, degli stanziamenti pubblici, dei ricercatori in rapporto alla forza lavoro, del divario di genere, del saldo commerciale tecnologico e dei brevetti. Nonostante l’Italia sia “fermamente integrata nei Programmi Quadro dell’Unione Europea”, spiega il Cnr, il contributo da noi versato continua ad essere superiore a quanto riusciamo ad ottenere con i progetti di ricerca aggiudicati.

Rimane alta l’età media media dei ricercatori, che posiziona il Paese lontana dalla media Ue e dai competitor europei. Massimo Inguscio presidente Cnr: “Occorre una politica di reclutamento regolare, programmata, garantita”.

R&S, quanto investe l’Italia

In Italia, la spesa per Ricerca e Sviluppo in rapporto al Pil è in lieve ripresa, passando dall’1,0% del 2000 a circa l’1,4% del 2016, grazie anche all’interruzione del trend di diminuzione degli stanziamenti pubblici. Ma restiamo posizionati in fondo alla classifica dei paesi europei, dove il rapporto tra investimenti in R&S e Pil è quasi del 2%. Dopo la flessione del biennio 2014-15, sono in ripresa anche gli stanziamenti del Miur agli enti pubblici di ricerca passati da 1.572 milioni nel 2016 a 1.670 milioni nel 2018: il Cnr, in particolare, ha ottenuto nel biennio un incremento da 555 milioni a 602 milioni.

Brevetti: l’andamento dell’hi-tech

Segnali minimi di miglioramento per gli indicatori relativi alle prestazioni tecnologiche sul fronte brevetti. Per quanto riguarda il saldo commerciale nell’alta tecnologia, nell’ultimo decennio il deficit registrato dall’Italia è diventato meno rilevante, attestandosi nel 2018 su -4 miliardi di dollari. Il settore hi-tech dove si riscontrano le maggiori quote esportate si conferma l’Automazione industriale, con il 7% delle esportazioni mondiali. Anche i brevetti depositati ogni 100.000 abitanti hanno mostrato un incoraggiante miglioramento: 6,7% nel 2016; 7,2% nel 2018. I brevetti italiani continuano, tuttavia, ad essere solo il 2,52% sul totale mondiale.

Quanti sono i ricercatori in Italia

La quota dei ricercatori in rapporto alla forza lavoro, pur rimanendo ben al di sotto di quella degli altri paesi europei e distanziandosi ancora di più dalla media Ue, è costantemente cresciuta nell’ultimo decennio. Dal 2005 al 2016 i ricercatori sono aumentati di circa 60.000 unità.

La crescita più rilevante si è registrata nelle imprese private: i dati più recenti mostrano una tendenza in atto che avvicina questo settore per numero di ricercatori all’università: quest’ultima rimane ancora l’area maggiore, con 78.000 addetti contro i 72.000 delle imprese, ma nell’università il numero complessivo è pressoché stazionario nel tempo. Anche gli Epr hanno registrato una crescita sensibile nel corso degli ultimi 10 anni, giungendo a circa 29.000 ricercatori, oltre il 15% del totale. Molto rilevante la quota di assegnisti: sono più del 20% dei ricercatori nelle università, e addirittura il 25% negli enti.

Ricerca e sviluppo, il gap di genere

Si rileva un progressivo aumento delle ricercatrici e, secondo le proiezioni, entro il 2025 il divario di rappresentanza di genere potrebbe pressoché scomparire nelle istituzioni pubbliche e ridursi drasticamente nelle università, mentre nelle imprese sembra rimanere sostanzialmente immutato. Tuttavia, queste proiezioni non considerano la progressione di carriera, che tuttora penalizza le donne.

Nell’università italiana gli over 50 superano la metà dei docenti, mentre nel Regno Unito e in Francia sono, rispettivamente, il 40% e il 37%. L’età media dei docenti italiani è di quasi 49 anni e quella dei ricercatori negli Epr è di 46. I ricercatori nelle imprese private hanno un’età inferiore, pari a 43 anni. “Fenomeno correlato al generale invecchiamento della popolazione italiana – osserva il rapporto -, ma testimonia anche la difficoltà di effettuare nel settore pubblico un reclutamento ordinario basato su una programmazione di lungo periodo”. Secondo le proiezioni, in assenza di politiche strategiche di lungo periodo, l’età media dei ricercatori continuerà ad aumentare in tutti i comparti.

Innovazione, Inguscio: “Evitare nuovo precariato”

“La sfida della scienza passa anche per politiche orientate ad un futuro – dice Inguscio – in cui si realizzino le necessarie sinergie tra ricerca, tecnica, ambiente, patrimonio culturale: rafforzando così un patto che è iscritto nella nostra stessa Costituzione e che cerca di produrre, senza discriminazioni, benefici per le donne e per gli uomini”.

“Siamo riusciti a non disperdere le competenze sviluppatesi negli anni – spiega Inguscio -, stabilizzando in modo molto significativo il lavoro precario, a far ripartire un nuovo reclutamento con concorsi nazionali competitivi organizzati per aree strategiche, a realizzare promozioni meritocratiche. Centrale sarà d’ora in poi una politica di investimento che consenta un reclutamento regolare e programmato ed eviti il prodursi di nuovo precariato”.

Produzione scientifica di qualità

Per quanto riguarda la produzione scientifica, si conferma il quadro positivo della precedente relazione: la comunità dei ricercatori italiani produce una quantità di pubblicazioni significativa e in crescita: sia come quota mondiale (quasi il 5% nel 2018), sia per qualità, attestata dalle citazioni medie ricevute per pubblicazione, che nel biennio 2017-18 sfiorano l’1,4. Una produzione scientifica analoga a quella della Francia, la quale però conta su un numero di ricercatori più elevato rispetto al nostro paese.

Programmi Ue, il saldo è negativo

L’Italia continua a essere un partecipante attivo dei Programmi Quadro Europei, compreso Horizon 2020, conseguendo nel primo triennio del programma europeo settennale in corso l’8,7% dei finanziamenti: una quota però distante da quella dei finanziamenti ottenuti dai maggiori paesi europei quali Germania (16,4%), Regno Unito (14,0%) e Francia (10,5%).

Saldo negativo fra il contributo ai Programmi Quadro Ue (12,5% del bilancio) e quanto riesce ad ottenere (8,7%). Risultato dovuto in parte al minor numero di ricercatori e in parte al tasso di successo dei progetti coordinati dal nostro Paese, pari al 7,5% a fronte di una media di Horizon 2020 del 13,0%. “Per aumentare il tasso di ritorno dell’investimento europeo – dicono Daniele Archibugi e Fabrizio Tuzi, tra gli autori della relazione -, occorre pensare a sostegni amministrativi, incentivi per chi presenta domande, favorendo la collaborazione pubblico-privato e l’innovazione, e coinvolgendo maggiormente idee e proposte dei giovani ricercatori”.

Marginale l’entità del public procurement, gli appalti pubblici: gli avvisi sono 6 ogni mille gare bandite, contro i 10 su 1.000 del Regno Unito e gli 8 su 1.000 della Germania. Il procurement di R&S nel 2018 ha raggiunto i 176 milioni di euro, appena lo 0,15% del totale dei beni e servizi acquistati dalla pubblica amministrazione. “Basterebbe un moderato aumento di questi numeri – spiega il Cnr – per incrementare notevolmente l’investimento totale in R&S: se, ad esempio, il valore arrivasse all’1% degli appalti pubblici nazionali, con un incremento di circa 6 volte rispetto alla spesa attuale, si genererebbe un significativo strumento per promuovere l’innovazione industriale”.

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