Gli Stati Uniti, la Francia e l’Ocse sono quasi vicini ad un accordo sulla tassazione delle imprese tecnologiche: lo ha detto il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, nel giorno in cui Donald Trump è tornato a tuonare contro i Paesi europei che intendono varare digital tax unilaterali nell’intento di danneggiare le imprese americane.
La proposta Ocse sulla digital tax
L’Ocse propone di dare ai paesi due nuovi tipi di diritto di imporre una tassazione sulle aziende. Il primo riguarda le aziende del digitale e che si rivolgono direttamente ai consumatori – quindi colossi come Google, Facebook, Amazon, Apple: i singoli stati potranno tassare una quota degli utili globali di queste multinazionali. Anche se tali utili vengono oggi trasferiti in sedi esterne a quello stato, l’Ocse propone di riallocarne una parte. La base per uno stato per calcolare l’aliquota resta il fatturato generato dalla data azienda nel suo territorio.
Come ha sottolineato il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria, occorre “assicurare che i grandi e redditizi gruppi multinazionali, incluse le società digitali, paghino le tasse dovunque abbiano significativi legami diretti con i consumatori e generino i loro profitti”.
In pratica, da un lato sarà il volume del fatturato a determinare il diritto di imposizione, dall’altro la proposta di riallocazione degli utili nei paesi in cui vengono realizzate le vendite prevede un sistema fondato sugli utili residuali del gruppo, anche se l’Ocse non ha definito la formula per il calcolo del residual profit.
La seconda tipologia di tassazione è per le economie emergenti dove le multinazionali vendono i loro prodotti e servizi ma spesso non hanno alcuna presenza fisica: è perciò prevista la possibilità di tassare le attività di distribuzione dei prodotti, assumendo una quota minima di guadagno realizzato sul dato mercato. Anche qui non ci sono dettagli e parametri: l’Ocse dovrà lavorare su quali siano la soglia di fatturato o dimensioni della multinazionale che fanno scattare la tassazione.
Separatamente, l’Ocse intende avanzare una proposta su un’aliquota minima di corporate tax sotto la quale non è possibile scendere.
L’Italia ai nastri di partenza
Dal 2020 in Italia entra in vigore la web tax (o digital) così come previsto dal Dl Fiscale allegato alla Manovra 2020: secondo le stime del governo la misura frutterà all’Erario circa 700 milioni di euro all’anno, in rialzo rispetto a quanto previsto dalla prima relazione tecnica che parlava di 600 milioni.
“Dal punto di vista finanziario, anche se la misura ricalca la misura introdotta dalla legge n. 145/2018 (manovra 2019; Ndr) rendendola operativa, appare necessario tener conto che le attività imponibili in questione sono caratterizzate da un forte sviluppo annuale – si legge nella nuova realazione tecnica allegata alla Manovra- Pertanto, rivedendo la stima originaria che stimava un recupero di gettito di 600 milioni di euro annui e che faceva riferimento allanno 2019, è stata ristimata la misura partendo da dati più recenti In base ai dati della relazione annuale 2019 Agcom il tasso di crescita annuale medio della pubblicità online dal 2015 al 2018 è stato del 18% e si ritiene che tale tasso di crescita rappresenti un utile riferimento anche per levoluzione delle altre componenti della base imponibile. Applicando pertanto tale crescita annuale alla stima di gettito del 2019 si ottiene una stima complessiva di gettito di 708 milioni su base annua”. Lo si legge nella nuova relazione tecnica alla norma sulla digital tax (web tax) contenuta nell’ultima bozza di decreto Fiscale, di cui Public Policy ha preso visione”.
La relazione tecnica della precedente bozza affermava invece che “le modifiche, essendo apportate solo al fine di rendere direttamente applicabili le disposizioni inerenti limposta sui servizi digitali e di non subordinarne quindi lattuazione allemanazione di un successivo provvedimento, non comportano ulteriori effetti rispetto a quelli già stimati in sede di relazione tecnica alla norma originaria contenuta nella legge n. 145/2018, la quale indica un gettito atteso di circa 600 milioni di euro su base annua”.
Cosa prevede la web tax
L’imposta sui servizi digitali prevede un’aliquota del 3% sui ricavi da applicare ai soggetti che prestano servizi digitali e che hanno un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni e un ammontare di ricavi derivanti dalla prestazione di servizi digitali non inferiore a 5,5 milioni. Le soglie vanno calcolate rispetto ai ricavi conseguiti l’anno precedente; l’esigibilità dell’imposta è prevista a fine 2020; introdotta un’eventuale sunset clause, cioé l’imposta resta in vigore fino all’attuazione delle disposizioni che deriveranno da accordi raggiunti nelle sedi internazionali.
Per quanto riguarda l’identificazione del criterio in base al quale “il dispositivo dell’utente si considera utilizzato nel territorio dello Stato, va fatto riferimento principalmente all’indirizzo di protocollo internet (Ip) del dispositivo stesso o ad altro sistema di geolocalizzazione”. L’imposta resta in vigore fino “all’attuazione delle disposizioni che deriveranno da accordi raggiunti nelle sedi internazionali in materia di tassazione dell’economia digitalizzata”.
La tassa dovrà essere versata “entro il 16 marzo”, mentre “la presentazione della dichiarazione annuale dell’ammontare dei servizi tassabili forniti” dovrà avvenire “entro il 30 giugno dello stesso anno”.
“L’Italia è da tempo impegnata a formulare in sede Ocse, assieme a tutti i Paesi europei, un’ipotesi di provvedimento sulla web tax che risponda alle esigenze di tutti gli Stati coinvolti – ha spiegato in un’intervista a Il Fatto il premier, Giuseppe Conte – Per il nostro Paese si tratta di una misura importante per garantire l’equità e la giustizia tributaria, ma stiamo partecipando in tutte le opportune sedi internazionali a un negoziato con gli Stati Uniti per trovare una soluzione condivisa”.