Crescono, e con marginalità sempre più interessanti, le tech company italiane. Punto di incontro tra i grandi vendor tecnologici internazionali e le imprese attive sul territorio (spesso e volentieri Pmi), i system integrator – e più in generale quelli che un tempo erano conosciuti come gli specialisti di canale – stanno conoscendo uno sviluppo pari o superiore a quello di altri settori tradizionalmente identificati come eccellenze del Made in Italy. Si parla infatti, nel periodo compreso tra il 2013 e il 2018, di una crescita di revenue media dell’8,9% e di marginalità che l’hanno scorso hanno fatto registrare un +10%. Il paradosso, però, è la stragrande maggioranza di queste aziende non sembra ancora in grado di sfruttare a pieno gli strumenti di marketing digitale per cogliere tutte le opportunità offerte da questo trend favorevole e instaurare un nuovo dialogo con le imprese che si stanno affacciando sul versante dell’innovazione digitale.
È questo, in estrema sintesi, quanto è emerso da uno studio realizzato dall’Osservatorio Tech Company del Politecnico di Milano, i cui risultati sono stati presentati stamattina, nel capoluogo lombardo, in occasione dell’evento Techcompanieslab organizzato dal Gruppo Digital360, editore di CorCom e di altre testate verticali dedicate all’economia digitale. Tra relazioni, tavole rotonde e analisi di mercato, l’evento ha per l’appunto coperto tutte le tematiche che riguardano le nuove strategie che promettono di rivoluzionare il go-to-market delle tech company.
Un settore strategico per l’economia nazionale
“Strategie che permetteranno alle aziende di maturare una leadership non solo commerciale o tecnologica, ma anche culturale, l’aspetto forse più importante in questo momento di profonda trasformazione”, ha detto Andrea Rangone, Ceo del Gruppo Digital360, aprendo i lavori. “È un settore incredibile, fatto da una miriade di imprese, circa 90 mila, che dà una boccata di ossigeno in uno scenario italiano piuttosto grigio per quanto riguarda l’innovazione digitale. Ma dobbiamo trasferire questo messaggio: in un paese con una cultura digitale bassa, rischiamo che l’attenzione vada sempre e solo su altri settori che godono di maggiore visibilità, quando invece le tech company non solo si distinguono per gli ottimi risultati di business, ma contribuiscono in maniera fondamentale allo sviluppo nazionale: sono loro che scaricano a terra l’innovazione”. Rangone ha poi sottolineato la mutata mentalità degli imprenditori del settore. “Da sempre c’è una dicotomia tra quelli più aperti e gli altri. Ma ultimamente sono positivamente colpito da una certa aggressività imprenditoriale, dalla voglia di crescere e di consolidare il business. Il comparto italiano è tradizionalmente molto frammentato rispetto a quello di paesi con economie simili, ma noto che si stanno attivando processi di aggregazione o di preparazione alla crescita, endogena o tramite acquisizioni e merger, con strumenti finanziari adeguati”.
I risultati dell’Osservatorio Tech Company nel dettaglio
Entrando più nello specifico del report prodotto dall’Osservatorio Tech Company del Politecnico di Milano, oltre alla survey svolta su 275 aziende, è stata anche condotta un’analisi su oltre 10 mila bilanci di società di capitali del Canale Ict italiano con fatturato superiore a 500 mila euro. Da cui emerge una crescita dei ricavi tra il 2013 e il 2018 più accentuata tra le imprese di taglia media (+11,6% per quelle con fatturato tra i 5 e i 10 milioni di euro, +12,7% per quelle con fatturato 10 e i 50 milioni di euro). Sono migliori poi le performance di imprese “top partner” dei 10 grandi vendor globali (+10,9%) e quelle che hanno in portafoglio soluzioni innovative come Cloud, IoT, Big Data e Ai (+9,9%). Rispetto alle imprese nate dopo il 2013, qui classificate come startup, si è registrata una crescita del 59%. “Mediamente, le tech company italiane mostrano buoni risultati, con una crescita significativa dei ricavi, pari al 9% medio annuo e marginalità superiori al 10%, in un settore in profonda trasformazione”, ha ribadito Raffaello Balocco, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Tech Company del Politecnico di Milano. “Da un lato, diminuiscono, a seguito dell’uscita dal mercato di alcuni player storici, le imprese focalizzate solo sul ‘volume’, dall’altro mostrano risultati sopra la media alcuni nuovi player con soluzioni ‘verticali’. Ma la spinta più forte arriva dalle startup, capaci di portare innovazione dirompente in alcuni ambiti”.
L’analisi dell’Osservatorio si è soffermata anche sulle strategie di marketing e rivela come il budget investito in attività di marketing nel 2019 si attesti all’1% del fatturato complessivo, ma sia destinato a aumentare in oltre il 60% delle imprese (con il 20% dei rispondenti che dichiarano di aumentarlo di più del 20%) e a rimanere invariato per il 37% del campione. Le attività di marketing più diffuse sono l’organizzazione di eventi “fisici” (nel 77% delle imprese) e l’utilizzo dei social in modalità “gratuita” (79%), ma il livello di soddisfazione di questi canali è spesso al di sotto delle aspettative. “I tech buyer cercano sempre più online informazioni su prodotti e servizi, ma molte imprese del settore sono guidate da un approccio orientato più alla vendita che al marketing”, ha proseguito Balocco. “Oggi si utilizzano soprattutto canali di marketing “tradizionali” che generano poca soddisfazione, mentre è ancora poco percepita l’importanza degli strumenti online, utilizzati solitamente con iniziative ‘spot’ non integrate in un piano complessivo. Un quadro da cui emerge la grande opportunità di un utilizzo dei diversi strumenti di marketing online, all’interno di una chiara strategia complessiva per generare opportunità di business. Quello che emerge è che il livello di soddisfazione ricavato dalle iniziative è ancora basso, proprio perché canali in usati in modo estemporaneo, spesso per fare test sulle diverse piattaforme a disposizione. Interessante anche il dato sull’Inbound marketing, ovvero dell’utilizzo del sito web a fini promozionali e di vendita. La situazione mappata evidenzia un 70% delle imprese che usa il sito come mera vetrina statica. Il 17% del campione ha introdotto anche use case dei propri cliente, mentre il 10% ha previsto un form per richiedere maggiori informazioni e solo il 3% ha attivato un blog aziendale”, ha chiosato Balocco. Ci troviamo quindi di fronte a un settore molto innovativo che paradossalmente non sfrutta le opportunità di crescita date dagli strumenti di marketing digitale.