Un catasto delle reti in fibra ottica abbatterebbe di molto i costi per creare una Ngn in Italia. Ed è quanto il Corecom Toscana ha cominciato a fare, con il nostro aiuto… ». Simone Bonannini vive di fibra, scavi e cavidotti: è l’amministratore delegato di Interoute Italia, operatore con una rete paneuropea da 60mila chilometri. “Ci ho messo tre anni per tentare di spiegare a tutti che il problema Ngn era affrontato male, in Italia. Finalmente mi hanno ascoltato dal Corecom della Toscana. Sarà forse perché sono toscano anche io…”.
E che cosa sta facendo il Corecom Toscana?
Da circa due mesi, con una nostra consulenza informale, sta andando a chiedere a tutti gli operatori la mappa delle loro reti. Usiamo sistemi open georeferenziati – Google Maps, per l’esattezza – su cui costruiamo layer (strati) per dire “qui c’è un tubo”, “qui c’è un morsetto, “qui una canalizzazione della pubblica amministrazione”; “qui c’è la fibra”…Con lo stesso sistema, stanno mappando anche le coperture wireless (Umts/Hspa e Hiperlan/WiMax) toscane.
A che punto è il progetto?
Il Corecom ha già messo online le prime cose che ha raccolto. Credo che finirà il tutto non prima di giugno.
Un catasto, quindi. Qualcosa di simile sta avvenendo anche in altre regioni?
L’ha fatto il consorzio Csi Piemonte, ci sta lavorando la Regione Lombardia e ci sta pensando il Corecom Veneto, a quanto mi risulta. Ma il nostro catasto in Toscana è il primo a usare sistemi open. Ed è necessario che non siano proprietari: solo così si può avere una base comune per creare un catasto nazionale. Il presidente del Corecom toscano, Vincenzo Caciulli, adesso sta appunto cercando un interlocutore nazionale che stabilisca una norma: affinché quanto fatto in Toscana diventi un modello da replicare in tutta Italia. I tempi potrebbero essere giusti. Si noti come un catasto di questo tipo rispecchia anche l’obiettivo open data dell’Agenda Digitale: le informazioni sarebbero aperte non solo agli operatori, ma anche ai cittadini, che così saprebbero quale rete passa sotto casa propria.
Ma qual è l’ostacolo? Perché è così difficile fare un catasto delle reti?
Il problema – come abbiamo visto anche in Toscana – è che per ora fornire le informazioni è lasciato alla buona volontà degli operatori. Eppure uno degli obblighi di licenza, per essere operatori, è fornire ad Agcom la mappatura della rete. Ma nessuno o quasi l’assolve. Il motivo è che l’obbligo manca della norma attuativa: non dice come fornire l’informazione; se usare mappe georeferenziate o fare un disegnino su Powerpoint…
E come si risolve il problema?
Mi piacerebbe che Agcom definisse le modalità di fornitura e che per questa indichi un sistema open. Deve anche designare l’ente che fornisca le informazioni agli addetti ai lavori: il gestore del catasto, quindi. Potrebbe essere Anas. Chi meglio di Anas, visto che tutti facciamo reti in fibra scavando nelle sue strade? Questa sarebbe la vera base di partenza per l’Ngn: sapere quello che già è stato fatto e consentire quindi agli operatori di integrare le future reti con quelle esistenti. Bisogna ricordare infatti che in molte città italiane le società delle utility hanno costruito reti. Ma le sfruttano male, perché il loro mestiere non è quello degli operatori tlc.
Dopo il catasto, quale sarebbe il passo da fare?
Vorrei che il modello Metroweb di Milano fosse esportato su tutto il territorio nazionale. Che è poi proprio quello che vuole fare il fondo F2i su 30 città. Il suo è un buon progetto: procede su scala nazionale, va nelle varie città e prende in gestione le reti di altri soggetti, che non sono in grado di utilizzarle al meglio per l’Ngn. Il progetto resterà buono finché sarà neutrale rispetto agli operatori e finché si occuperà di fare soltanto le infrastrutture passive. Il mio timore è che prima o poi F2i prenderà nell’azionariato qualche operatore e così quella neutralità andrà perduta.