L'INTERVISTA

Smart city, Dominici: “E’ ora di valorizzare le partnership pubblico-privato”

Il dg di FPA: “In Italia esistono realtà territoriali dove strategie condivise tra aziende, PA e università hanno messo in moto un processo di sviluppo virtuoso. Ma serve integrarle per realizzare un grande ecosistema nazionale”. La sfida data trust

Pubblicato il 22 Nov 2019

Foto di Stefano Corso

Come si vince la sfida delle smart city 4.0, quelle sostenibili e aperte? Valorizzando gli ecosistemi dei territori e rimodellando la governance dei dati. Quest’anno Forum PA Città, l’evento di FPA dedicato alle città intelligenti e arrivato alla sua ottava edizione, punterà i riflettori proprio sulle strategie da mettere in campo per valorizzare le “relazioni” tra i player – pubblici e privati – e le informazioni che sui territori vengono prodotte.

Ne parliamo con Gianni Dominici, direttore di FPA.

In Italia esistono ecosistemi territoriali dell’innovazione che funzionano, ma funzionano a “silos”. C’è un modo per realizzare un grande ecosistema nazionale?

La sfida di Forum PA Città è proprio questa: diventare una piattaforma che faccia da collante delle varie esperienze. E nel nostro Paese esistono delle iniziative che possono fare da testa d’ariete: penso a Napoli dove una collaborazione virtuosa tra l’università, le pubbliche amministrazioni e la Apple Academy ha fatto del territorio una best practice a livello europeo. Milano e Firenze sono, poi, altri esempi di come le partnership pubblico privato siano la chiave di volta per realizzare un’Italia smart, partendo dalle città.

Che ruolo per la PA in questa vision?

La PA deve diventare una piattaforma abilitante ovvero creare le condizioni perché i territori siano in grado di generare innovazione; deve dunque diventare soggetto proattivo dei processi di innovazione e abbandonare un modello organizzativo “verticale” per abbracciare una logica orizzontale che “porti dentro” l’amministrazione il contributo dei diversi attori pubblici e privati, ma anche del non profit, nella progettazione e gestione dei servizi avanzati.

Ma questo necessita di un faticoso cambio di passo culturale nonché di competenze nuove…

Qui sta il nodo cruciale. Quando parliamo di PA come soggetto abilitante l’innovazione dei territori e delle città, immaginiamo una PA dove i dipendenti sono in grado di essere anche project manager e/o data scientist. Di qui la necessità di elaborare un piano di fabbisogno in vista delle 4500 assunzioni annunciate: che tipo di skill servono per fare diventare la PA piattaforma abilitante di innovazione?

Una PA così immaginata è anche una PA data driven, che fa dei dati il pilastro delle politiche e dell’organizzazione interna. Ma la verità è questa “cultura del dato” in Italia stenta a diffondersi. Che fare, dunque?

È impensabile che in una stessa amministrazione, ad esempio, uffici diversi gestiscano il dato in maniera diversa. Quello che va fatto è elaborare una governance dei dati condivisa che faccia da base per realizzare politiche vicine ai bisogni di cittadini e imprese, ma che sia anche “bussola” quando si decide di adottare soluzioni tecnologiche che servono all’amministrazione stessa e a tutta la comunità. Molte città europee si stanno muovendo in questa direzione.

Qualche esempio?

Barcellona ha messo in piedi un progetto di data trust. I dati prodotti dalle amministrazioni e dai cittadini che utilizzano servizi digitali vengono raccolti in una piattaforma gestita da un ente terzo certificato. In questo modo le info diventano un patrimonio condiviso utile ad elaborare politiche data driven.

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