LAVORO

Boom del social recruiting: domina LinkedIn, sorpresa Instagram

Social media fondamentali per il personal branding: influenza la scelta dei recruiter. In aumento il tempo passato dai candidati su Internet per cercare annunci, ma l’efficacia percepita dei canali digitali è bassa. I risultati del nuovo Work Trends Study

Pubblicato il 19 Dic 2019

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La rivoluzione digitale impatta anche il settore delle risorse umane e del recruiting: nella ricerca di un lavoro i candidati spendono mediamente online il 72% del loro tempo, mentre i recruiter passano in rete il 45,1% del tempo (che salirà al 55,7% entro un anno) dedicato al lavoro di scouting e analisi dei profili. I social media – con LinkedIn in testa – sono sempre più usati dai candidati per cercare lavoro, mentre cala la loro importanza per i recruiter; tuttavia,  i recruiter cercano in rete informazioni sulla digital reputation dei candidati, ossia valutano come si presenta il loro personal branding, e il 44,1% dei recruiter ammette di aver scartato una candidatura sulla base di una web reputation non idonea. Sono i dati rilevati dalla nuova edizione della ricerca Work Trends Study, realizzata da Adecco in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Il digitale promuove il social branding

In generale, pur crescendo il ricorso ai canali digitali da parte dei candidati, la percezione della loro efficacia rimane bassa: i siti web sono usati dall’85% ma solo il 46% ha ricevuto un’offerta di lavoro attraverso mail; il 33% usa i social network ma solo il 12% è stato contattato attraverso questo canale; e il 60% usa altri canali (passaparola ecc.) che si sono dimostrati efficaci nel 57% dei casi. Il digitale viene dunque utilizzato più come canale di personal branding che direttamente come canale di incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Per quanto riguarda i social media, LinkedIn si conferma un punto di riferimento per oltre la metà dei candidati (57,7%), che utilizzano la piattaforma prevalentemente per la ricerca di lavoro, contemporaneamente si rafforza l’utilizzo di Facebook (31,7% contro il 27% dell’edizione 2015) e fa la sua comparsa Instagram (10%), superando anche Twitter che si attesta intorno al 4%. Chi cerca lavoro utilizza principalmente i social per cercare annunci (61%), rispondere a candidature (52,3%) e cercare le pagine di potenziali datori di lavoro (50,1%).

I social network perdono, invece, importanza nel lavoro degli Hr: LinkedIn scende dall’88% del 2015 al 73,6%, Facebook cala dal 28% al 14,4%, ma anche in questo caso compare Instagram (15,3%), che supera nuovamente Twitter (11,4%). Gli esperti Hr usano i social principalmente per verificare i cv (72%), ma aumenta nettamente il ricorso ai social media per esplorare la personalità dei candidati (pari al 48,1% rispetto al 36% del 2015): la quota di Hr che dichiara di aver escluso un potenziale candidato dal processo di recruiting dopo aver visualizzato i suoi profili social passa dal 12% del 2013 al 44,1% del 2019. I fattori che determinano l’esclusione sono: informazioni non coerenti con il cv; tratti della personalità ritenuti non idonei; contenuti discriminatori; network scarso e profilo poco aggiornato; commenti negativi sui datori di lavoro. È in calo dall’8% del 2015 al 3,2% attuale la percentuale di candidati che, dopo essere stata contattata tramite social network da un recruiter, ha ottenuto un posto di lavoro.

Come cambia il recruiting

L’impatto dei canali social sull’attività di scouting degli Hr e sulla ricerca di un lavoro da parte dei candidati è in crescita costante. La rapida evoluzione del mondo del lavoro e l’affermazione dei canali digitali in tutte le attività quotidiane sia professionali che personali sta cambiando radicalmente le abitudini non solo di chi cerca un lavoro, ma anche dei professionisti che si occupano di risorse umane”, ha dichiarato Cristina Cancer, Head of Talent Attraction and Academic Partnership di The Adecco Group. “Nei prossimi anni sarà importante riuscire a leggere in anticipo gli effetti di questi cambiamenti per avvicinare la domanda e l’offerta di lavoro, facilitando la vita sia dei candidati che degli Hr”.

I recruiter affermano che la ricerca di professionisti online – rispetto a quella offline – richiede meno investimenti economici (70,2%), meno tempo (58,1%) ma più investimenti in competenze (48,6%).

In merito ai profili che i recruiter analizzano maggiormente online è in aumento la ricerca per i profili non manageriali, che sale dal 12% del 2015 al 28,3% di oggi, mentre è in leggero calo quella dei middle manager (dal 44% al 39,3%) e dei senior manager (dal 40% al 32,7%). Aumenta la selezione online per i profili più legati alla comunicazione, mentre diminuisce quella legata ai profili più tecnici.

La ricerca analizza infine il diverso approccio dei recruiter nei confronti dei candidati attivi e di quelli passivi: gli intervistati sono concordi nel dichiarare che le aziende sono disposte ad investire più tempo per la ricerca di un candidato passivo (80%). Dal confronto tra candidati passivi e attivi, gli Hr intervistati rilevano dunque un vantaggio competitivo dei candidati passivi rispetto a esperienza professionale e competenze tecniche, mentre sono peggiori rispetto ai candidati attivi per competenze relazionali e motivazione.

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