Beccati con un selfie. Basta un post di una vacanza esotica, una foto su Instagram da un panfilo oppure un tweet dalla prima classe del jumbo ed è fatta: parte l’accertamento fiscale. Magari non in modo così immediato, però in Francia adesso il rischio c’è. Lo ha ribadito la Corte costituzionale dichiarando che il Governo, nei suoi poteri di indagine fiscale, ha il diritto di utilizzare quanto pubblicato sui social media per individuare una possibile evasione. La Corte ha però introdotto delle limitazioni su quale tipo di informazioni possono essere raccolte, anche perché in tutta la Francia è nata una forte contestazione a questo tipo di azione percepita come una violazione della libertà degli individui.
Il dato è ancora più complesso di quanto non sembra. Le nuove regole fanno parte di un pacchetto molto ampio di normative sulla fiscalità che è in votazione al Parlamento francese su iniziativa governativa. I poteri di sorveglianza dello Stato, che permettono di raccogliere e controllare i big data pubblici provenienti anche dai social media, verranno utilizzati con una prima sperimentazione che durerà tre anni per capire se effettivamente si tratta di una strada perseguibile per la lotta all’evasione.
Alle autorità doganali e fiscali francesi sarà dunque concesso di andare a scrutare profili, post e fotografie sui social media per trovare delle prove di possesso di beni che non sono stati dichiarati o stili di vita incompatibili con i livelli di reddito presentati all’agenzia delle entrate francese.
La prima a mettersi in moto è stata l’Autorità francese per la protezione dei dati personali, numerosi gruppi di difesa dei diritti dei cittadini e anche vari parlamentari. Tutti hanno contestato che le implicazioni per la privacy delle persone di questa normativa portano direttamente a un sospetto di incostituzionalità. Da qui il ricorso all’Alta Corte per stabilire se effettivamente le cose stiano così. La Corte costituzionale francese ha il potere di fermare l’iter legislativo, ma il blocco che sarebbe potuto arrivare se la Corte avesse ritenuto che la legge violasse la privacy e la libertà di espressione delle persone compromettendone la vita sui social media, non c’è stato. Infatti, la Corte ha ritenuto che non sia così e ha dato invece la sua approvazione al progetto di legge, seppure con delle avvertenze.
La prima delle quali è che i contenuti protetti da password o approvazione da parte dell’utente per essere visti (cioè i contenuti dei social marcati come non pubblici) sono off limits. Inoltre, le autorità avranno in generale la possibilità di utilizzare solo le informazioni pubbliche che le persone decidono di divulgare, mentre i regolatori dovranno avere un potere molto forte di monitoraggio del modo con cui questi dati verranno utilizzati. La polemica si è comunque sopita anche grazie alla nota del ministro del Bilancio Gerald Darmanin, che ha detto che gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno già da tempo poteri simili a quelli previsti nella nuova legge.