La crisi dei giornali è colpa dei colossi tecnologici? Aziende come Google, Facebook e Apple hanno stravolto il modo di accedere alle notizie – sempre più spesso su digitale e su dispositivi mobili – e dato spazio all’attività non professionale, privando le redazioni di lettori e entrate pubblicitarie fino a farle sparire. È accaduto anche nella Silicon Valley e per molti giornalisti e politici la responsabilità è delle Big Tech. A tal punto che il deputato Democratico Mark DeSaulnier, che rappresenta diverse comunità dell’East Bay, sta promuovendo all’interno del Congresso degli Stati Uniti una serie di misure per salvare l’editoria locale. Tra queste c’è una legge che riguarda le aziende tecnologiche e i social media che, sottolinea DeSaulnier, guadagnano dalle notizie prodotte dalle redazioni e che dovrebbero essere obbligate a restituire una più corretta porzione di utili alle testate giornalistiche.
La crisi delle local news nella terra di Google&co
Non è la prima volta che le Big tech vengono additate a responsabili del fatto che sempre meno persone accedono all’informazione professionale – che sia su carta o online – e si limitano a leggere titoli e sommari sui social media. Facebook e Google hanno sempre respinto le accuse e hanno varato numerose iniziative a favore del giornalismo locale, anche nell’East Bay californiano. Molti giornalisti si chiedono però se non sia troppo tardi: sono già decine i giornali locali scomparsi, tra cui Oakland Tribune, Contra Costa Times, The Daily Review of Hayward, The Argus of Fremont, Tri-Valley Herald. Non è questione di spostamento del pubblico di lettori dalla carta al digitale ma di confusione tra lavoro giornalistico e passaparola sui social media, disabitudine all’approfondimento, al confronto e alla verifica critica, dicono gli addetti ai lavori.
Il quadro del declino delle local news è stato dipinto da un’inchiesta del sito Cnbc.com con una panoramica sulle testate scomparse o fortemente ridimensionate e inglobate in gruppi più grandi, come accaduto all’Oakland Tribune. Il giornale di Oakland – una città da mezzo milione di persone – ha vinto anche un premio Pulitzer nel 1989; i suoi giornalisti giravano per la città e i dintorni, tra le sedi istituzionali e i numerosi quartieri, coprendo tutti i fatti locali grazie alla presenza “sul posto”. Il Tribune è anche stato tra i primi giornali a sperimentare con le innovazioni dell’era digitale, come i blog. Oggi la testata – ridotta fortemente nello staff – fa parte del Bay Area News Group, a sua volta di proprietà del gruppo Digital First, che ha ormai un solo quotidiano che copre le notizie dell’East Bay. Il management del Bay Area News Group sottolinea che non si può tornare indietro nel tempo: l’editoria è cambiata e il business è in difficoltà, bisogna lavorare con i mezzi a disposizione.
L’azienda è tra quelle che hanno ricevuto sostegno da Google, che ha donato soldi per testare un servizio premium, senza pubblicità, per abbonati. Ma proprio Google e Facebook sono i giganti del digitale ritenuti la causa prima della perdita di fondi e lettori, con un drammatico effetto domino: giornali con entrate sempre più ridotte spendono meno in giornalisti professionisti e qualità dell’informazione e pubblicità e lettori continuano a ridursi. Per molti addetti ai lavori anche l’avvento dell’iPhone di Apple è stato una spartiacque: ha spinto molti utenti a leggere le notizie sullo smartphone, mandando in crisi le pubblicazioni su stampa. Dal 2007 (anno del debutto dell’iPhone) a oggi, le redazioni giornalistiche statunitensi hanno perso quasi metà del personale, secondo il Pew Research Center. Lo stesso centro di ricerca rivela che le entrate pubblicitarie dei giornali Usa valevano 50 miliardi di dollari nel 2005; oggi valgono 14 miliardi.
I giornali vogliono i dati
Per David Chavern, president e chief executive della News Media Alliance, Google e Facebook possono risolvere la crisi dei giornali pagando di più per i contenuti giornalistici che distribuiscono e condividendo i dati sui lettori che cliccano sulle notizie prodotte dalle redazioni. “Il punto è che Google e Facebook controllano sulla la news experience ma non vogliono ricompensare chi crea quei contenuti”. È la tesi sposata dal deputato DeSaulnier e promossa al Congresso americano.
Google e Facebook respingono questo punto di vista: è la società che è cambiata, dicono le Big tech, sono i modelli di business delle aziende e il modo di accedere alle notizie che si sono evoluti. I colossi del digitale si sono dati da fare con donazioni, alleanze e iniziative di formazione digitale per rivitalizzare il giornalismo locale. Sia Google che Facebook si sono impegnata a spendere 300 milioni di dollari per sostenere il giornalismo negli Stati Uniti, soprattutto a livello locale, visto che oltre 2.000 quotidiani e settimanali di local news hanno chiuso i battenti negli scorsi 15 anni negli Usa. I due colossi digitali sottolineano anche che i loro siti portano enormi volumi di traffico verso i siti delle testate e che c’è già un meccanismo di sharing delle entrate pubblicitarie.
Ma i dirigenti dell’industria editoriale non sono d’accordo: chiedono una quota più equa delle entrate pubblicitarie e visibilità sui dati dei lettori. Sono questi fattori a fare la differenza, perché riportano valore nelle casse degli editori e permettono di finanziare quell’informazione di qualità e pertinente che interessa chi legge e spinge a comprare il giornale. Che sia di carta o sullo smartphone.